Il governo M5s-Lega propone di tenere chiusi i negozi durante alcune domeniche e festività nel corso dell'anno, introducendo anche una turnazione.
La Cei: “La domenica e le feste, presidi di umanità da difendere”
“Entro l’anno sicuramente arriverà la legge che impone lo stop la domenica e nei giorni festivi delle aperture agli esercizi e ai centri commerciali”. Lo dice il vicepremier e ministro dello Sviluppo economico e del lavoro, Luigi Di Maio, intenzionato ad accelerare la stretta sulla liberalizzazione delle aperture e degli orari nel commercio, introdotta nel 2011 dal governo Monti con il decreto “Salva Italia” per lanciare la concorrenza. “Quella liberalizzazione – dichiara il vicepremier – sta distruggendo le famiglie italiane”, chiudere nei festivi è una “questione di civiltà”.
In Italia la percentuale di dipendenti che lavorano nei giorni festivi sul totale dei lavoratori è del 19,5% (la media dei 28 Paesi Ue è 23,2%, l'Italia è al 24° posto); la riforma non andrebbe ad interessare il settore degli alberghi/ristoranti.
In Parlamento ci sono già cinque proposte di legge per disciplinare le aperture dei negozi, di cui quattro dei partiti di maggioranza e una del Pd. Il piano del M5s (a prima firma Davide Crippa, sottosegretario allo Sviluppo economico) prevede di introdurre un meccanismo di turnazione, per cui nei giorni festivi resta aperto soltanto il 25% dei negozi. Saranno le Regioni, in accordo con le associazioni di categoria, a predisporre piani locali in cui sia aperto un esercizio su quattro. Si prevede la possibilità per i negozi di rimanere aperti per un massimo totale di 12 giorni festivi l'anno, che scendono a 8 nel progetto della Lega (tra cui le 4 domeniche di dicembre). Sarebbero escluse dal turnover le città turistiche (la definizione è tutta da discutere), come precisato dal ministro dell'Agricoltura, Gian Marco Centinaio. Al di là dei dettagli, il governo sembra allineato.
LA DOMENICA PER RESTARE UMANI
“La domenica e le feste sono il tempo privilegiato per l'incontro tra genitori e figli, per coltivare le amicizie, per impegnarsi nella propria comunità”: mons. Fabio Longoni, direttore dell'Ufficio per i problemi sociali e il lavoro della Cei, spiega perché la Chiesa guardi con favore alla regolamentazione, chiarendo subito che non si tratta di una battaglia ideologica né tantomeno politica: “Da almeno 30 anni la Chiesa avverte come l'ersione degli spazi e più ancora dei tempi di libertà e gratuità delle persone – imposta da una certa evoluzione dell'attività economica e commerciale – vada a danno delle stesse persone e del tessuto sociale”. La domenica e le festività rappresentano “un tempo libero in comune fra gli uomini” da dedicare alle relazioni, “sono presidi della nostra umanità che dobbiamo difendere”. Ne hanno bisogno i credenti, che si riuniscono in assemblea per celebrare l'Eucaristia, ma ne hanno bisogno anche i non credenti, per ritrovare “i tempi e le modalità dell'incontro”. E nemmeno possiamo arrenderci – dice ancora Longoni – alla 'commercializzazione' di tutti i rapporti fra le persone, ridotte alla sola dimensione del consumo o dello scambio profittevole in un centro commerciale, quando invece la cifra più autentica dei rapporti umani è la gratuità”.
Nella Chiesa locale, si ricordano gli appelli di mons. Ivo Muser, vescovo della diocesi di Bolzano-Bressanone, dove dal 2009 esiste un'Alleanza per il riposo domenicale tra diverse realtà altoatesine. Lo scorso giugno don Cristiano Bettega, delegato per la testimonianza e l'impegno sociale della diocesi di Trento, sulle pagine del Corriere del Trentino aveva commentato favorevolmente l'annuncio del governo gialloverde: il provvedimento aiuterebbe le persone ad uscire da “un atteggiamento consumistico della vita, che allontana dalla ricerca e dall'esperienza di fede”, e “a porsi in maniera diversa”, non più “da utenti, quasi da macchine”, ma “da esseri umani”.
COSA DICONO I DATI
Ad essere chiamato in causa è soprattutto il mondo economico. Buona parte della Grande distribuzione organizzata sottolinea come le chiusure domenicali metterebbero a rischio 40-50 mila posti di lavoro (circa il 10% del totale). A fronte di questa stima, però, i dati sull'occupazione (Istat, Confesercenti, Confcommercio) dicono come la liberalizzazione in Italia non abbia portato un aumento dei consumi (che sono rimasti invariati, spalmandosi su sette giorni) né dei conti delle imprese, né dell'occupazione. Anzi, i piccoli negozi non hanno potuto reggere il ritmo e sono rimasti schiacciati dalla Grande distribuzione, il cui aumento non ha compensato i posti bruciati dalle piccole realtà commerciali.
Spesso, inoltre, la maggior parte dei lavoratori non ottiene vantaggio dal fatto di essere occupata nei giorni festivi, nonostante il contratto del commercio preveda una maggiorazione della retribuzione oraria del 30%. Anche per questo, i sindacati si dicono favorevoli alla norma. Susanna Camusso, segretaria Cgil, considera la norma “un passo importante”, perché “la totale liberalizzazione ha determinato condizioni di lavoro molto difficili”.
Anche nella Grande distribuzione c'è qualche voce fuori dal coro, come quella di Eurospin, nota catena di discount, che ha acquistato una pagina di pubblicità sul Corriere della Sera per schierarsi pubblicamente “a favore della chiusura domenicale, perché ci sta a cuore la vita familiare dei nostri colleghi”. Eurospin ammette che il provvedimento potrebbe comportare qualche disagio ai clienti, e d'altra parte anche un danno economico per l'azienda; ma “la migliore qualità della vita dei nostri 18.000 colleghi ci renderà, a medio termine, tutti più soddisfatti”.
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