Insegnò agli apicoltori le moderne tecniche di allevamento per farne una fonte di reddito
Abramo Andreatta (1909-1983) fu esperto apistico e divulgatore della moderna apicoltura.
Discepolo di Giuseppe Adami, direttore dell’Apicoltore d’Italia e assiduo lettore della rivista L’Apicoltore Moderno diretta da don Giacomo Angeleri, egli aderì al movimento che, sviluppatosi alla fine degli anni Venti attorno al Consorzio apistico, si proponeva di insegnare agli apicoltori le moderne tecniche di allevamento per farne una fonte di reddito.
Da giovane Abramo Andreatta fu mandato a perfezionarsi insieme all’amico Segalla, che abitava alla Vela di Trento, presso l’Istituto Nazionale di Apicoltura di Bologna dove conseguì la qualifica di esperto apistico. Al ritorno fu incaricato dal Consorzio apistico di girare per le valli del Trentino per dimostrare praticamente agli apicoltori locali le nuove tecniche dell’apicoltura razionale.
Ad Abramo Andreatta vanno ascritti due grossi meriti: aver mantenuto compatto il mondo degli apicoltori ed essere stato interlocutore determinato e talora anche condizionante con la Provincia e gli Uffici tecnico- amministrativi. Ispettorato Provinciale all’Agricoltura in primo luogo.
Dal 1970 e per alcuni anni la rivista Terra Trentina ha ospitato una rubrica fissa di apicoltura. Dal secondo dopoguerra ai primi anni ’80 il maestro Abramo Andreatta è stato presidente del Consorzio apistico trentino e della Cooperativa Apitrento. Le due istituzioni avevano compiti distinti: istruire ed assistere gli apicoltori la prima; vendere i mezzi tecnici indispensabili per gestire modernamente l’apiario la seconda. Nei decenni a cavallo del 2000 entrambe le istituzioni apistiche hanno dovuto affrontare grosse difficoltà soprattutto di tipo organizzativo, andando però gradualmente verso una inesorabile estinzione.
Linee fondamentali
L’apicoltura è redditizia solo quando è esercitata con procedimenti e metodi razionali. Anche in questo esercizio valgono le condizioni che rendono produttiva l’agricoltura in generale; è inoltre indispensabile la conoscenza delle leggi che regolano l’istinto delle api. Questo è vero specialmente da quando è stata introdotta l’arnia a favo mobile, quella cioè che permette di guardare in ogni momento nell’interno dell’alveare, di nutrire, di provvedere ai suoi bisogni e infine di levare il miele senza uccidere.
Le regole fondamentali che rendono redditizia l’apicoltura sono le seguenti. 1. Gli alveari devono essere sempre nutriti e quando manca il raccolto naturale deve provvedervi l’apicoltore. 2. Nella produzione di miele ha grande importanza la capacità della regina. Di regola le regine vanno cambiate ogni due anni. Chi è capace di allevarsele lo faccia, chi vuole risparmiare tempo e rischi le comperi dagli allevatori che si dedicano a questa attività. 3. I favi vecchi sono pericolosi per la salute dell’alveare e, a causa dell’impiccolimento continuo delle celle dove si sviluppano le api, provocano la degenerazione della razza. Perciò è necessario cambiare i favi quando hanno perduto ogni trasparenza. 4. Alle norme fondamentali sopraindicate desidero aggiungere un suggerimento importante quanto i tre punti messi insieme: leggetevi un buon manuale e fatevi le idee chiare, precise e ragionate sulle leggi che comandano l’istinto delle api.
(Articolo di Abramo Andreatta intitolato “L’apicoltura trentina, linee fondamentali” pubblicato su Almanacco Agrario, edizione 1965)
Corso residenziale
L’apicoltura in Trentino ha una storia lunga e ricca di eventi in positiva progressione. Dagli annali dell’Istituto Agrario Provinciale di S. Michele con annessa Stazione Sperimentale si apprende che il cav. Francesco Gerloni di Trento operava già nel 1880 in qualità di docente straordinario di bachicoltura e apicoltura fornendo i primi rudimenti della materia agli allievi della Scuola biennale di agricoltura e percorrendo le valli nell’intento di elevare la professionalità degli apicoltori legati ancora a sistemi di allevamento e tipi di arnia assai primitivi. E’ merito del maestro Andreatta il riavvicinamento del monto apistico trentino all’Istituito Agrario di S. Michele. Nell’articolo “L’apicoltura trentina” citato in precedenza Abramo Andreatta scrive quanto segue.
“Notevole interesse ha sempre suscitato il corso di apicoltura che si svolge annualmente presso l’Istituto Agrario di S. Michele a/Adige e l’iniziativa del Consorzio e con la collaborazione e l’assistenza dei dirigenti e dei tecnici dell’Istituto stesso. In quella sede sono stati svolti fino ad oggi (1965) 13 corsi con la partecipazione di 284 apicoltori provenienti da tutte le valli del Trentino”.
(Articolo di Abramo Andreatta intitolato “L’apicoltura trentina, linee fondamentali” pubblicato su Almanacco Agrario, edizione 1965)
Apicoltura nomade
Il metodo di trasportare le api dalla collina alla montagna per avere raccolti più abbondanti e di migliore qualità si chiama “apicoltura nomade”. Finora nel Trentino è stata esercitata soltanto da pochi appassionati con spese di esercizio rilevanti e con risultati alterni, non sempre incoraggianti. Vaste zone di alta montagna con fioriture abbondanti di rododendro, lampone, epilobio, timo, ecc. non sono state finora raggiunte dalle api e perciò il prodotto è andato perduto. L’apicoltura nomade che il Consorzio apistico vuole incrementare si propone di raggiungere le fioritura più lontane in condizioni di sicurezza assistendo gli apicoltori non ancora esperti, limitando i costi in modo da rendere redditizia questa attività.
(Articolo di Abramo Andreatta intitolato “Apicoltura: nuove prospettive” pubblicato sull’Almanacco Agrario, edizione 1972)
Dal dire… al fare
Abramo Andreatta concludeva l’articolo così: ”Sono prospettive che per diventare realtà richiedono un serio impegno e la collaborazione di molte persone. A distanza di quasi cinquant’anni possiamo costatare che l’apicoltura nomade è entrata ormai stabilmente nei programmi di attività degli apicoltori professionali. Quelli per intenderci che fanno vendita del miele prodotto indicando sul contenitore non solo la provenienza dal Trentino, come è d’obbligo per legge, ma anche il nome delle specie fiorifere utilizzate dalle api per produrre mieli denominati floreali. Tra i più noti e apprezzati mieli floreali del Trentino si ricordano i seguenti: miele di acacia, di castagno, di melata, di rododendro e millefiori. L’ultima denominazione sta a significare che il miele deriva da diverse specie di fiori di montagna che compongono la comunità botanica dei prati e dei pascoli situati in quota. Pregiati di natura e sicuramente esenti da sostanze inquinanti. Merita evidenza la serie di contributi pubblici di varia provenienza a sostegno dell’apicoltura nomade. Soldi per l’acquisto di arnie speciali da nomadismo o di mezzi di trasporto degli alveari.
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