Il vescovo di Bolzano-Bressanone offre l’occasione per riflettere su tre temi di ampio respiro
Bolzano – La lettera pastorale per la festa dell’Assunta del vescovo di Bolzano-Bressanone Ivo Muser diventa l’occasione per riflettere su tre temi di ampio respiro. Cosa significa per noi cristiani, si chiede il vescovo, poter sperare anima e corpo nella redenzione, con l’intera storia della nostra vita e con tutta la nostra personalità? Da quale idea di persona ci lasciamo guidare nel nostro pensare, parlare e agire, e cosa possiamo fare per impedire che si diffondano ulteriormente un linguaggio disumano e un imbarbarimento sociale e politico? Infine: cosa possiamo fare per contrastare le diverse forme di violenza sulle donne e sostenere le iniziative e le organizzazioni che formano una rete contro la violenza?
Quella del 15 agosto, scrive mons. Muser, “è una festa della speranza”. Per i cristiani infatti “la morte non significa un’interruzione o la caduta nel nulla. E non è neppure semplicemente il superamento del legame con lo spazio e il tempo o il distacco dal nostro corpo”. Significa piuttosto “oltrepassare una soglia per entrare in una realtà che abbraccia e accoglie la nostra vita terrena”. “Non c’è nulla di umano che non possa trovare redenzione, nulla che l’amore di Dio non possa avvolgere e salvare”.
Citando il Magnificat il vescovo ricorda che “Dio – e questo è un messaggio importante di questa festa – pensa in grande per noi”. Dunque “anche noi dobbiamo pensare in grande della persona – di tutte le persone! Come e cosa pensiamo di una persona e come la consideriamo, noi lo esprimiamo innanzitutto nel modo in cui ne parliamo”. Ed ecco la viva preoccupazione che esprime nella sua lettera il pastore della Chiesa di Bolzano-Bressanone: “Ciò che osservo in modo particolare nell’attuale discussione sulla ‘accoglienza’ di profughi è l’imbarbarimento del linguaggio, la fabbrica della paura, gli eccessi, le argomentazioni demagogiche. Non possiamo tacere, quando i profughi sono definiti ‘carne umana sulle barche di trafficanti’ o ‘merce fatta di esseri umani’. Questo linguaggio apre la strada a un radicale smantellamento della solidarietà verso le persone in stato di necessità”. E ancora: “Nelle scorse settimane siamo diventati testimoni della criminalizzazione di chi accorre ad aiutare persone in pericolo. Siamo tutti consapevoli che la crisi dei profughi e la migrazione hanno bisogno di soluzioni politiche lungimiranti: soluzioni che non possono essere semplici, perché il problema è complesso e perché all’origine vi sono molte cause. Per questo ritengo molto problematiche le attuali tendenze verso una crescente chiusura dei confini. Le persone bisognose vengono perse di vista, soppiantate da interessi particolari messi in primo piano. Assistiamo al nuovo insorgere di un’eccessiva accentuazione del carattere nazionale che seppellisce la coesione, così importante anche a livello europeo. C’è bisogno di proporre soluzioni responsabili e non di parole ciniche e intrise di populismo. Serve obiettività e non fomentare le emozioni di rifiuto. Tutto il resto non rende giustizia alla dignità umana”.
La lettera si conclude invitando a riflettere sui comportamenti che ledono la dignità delle persone e in particolare delle donne.
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