Innovatore frutticolo e viticolo

Ha determinato gli indirizzi tecnici e varietali della frutticoltura e della viticoltura del Trentino, totalmente rivoluzionari rispetto ai precedenti orientamenti agronomici

Il dott. Gino Salvaterra può a ragione essere ritenuto il padre della frutticoltura e della viticoltura del Trentino nuova maniera, in quanto ne ha determinato gli indirizzi tecnici e varietali, totalmente rivoluzionari rispetto ai precedenti orientamenti agronomici.

Ha iniziato la carriera in Provincia di Bolzano lavorando per alcuni anni presso quell’Ispettorato provinciale ed è approdato a Trento alla metà degli anni ’50. Ha avuto per maestro il dott. Vittorio Zanon. Il dott. Salvaterra ha creato a sua volta una vera e propria scuola della quale facevano parte Dario Pallaoro, Mario Hueller e Remo Paterno.

Salvaterra seguiva a tutto campo sia la frutticoltura sia la viticoltura, interessandosi anche al vivaismo, fornendo direttive anche nella scelta delle varietà.

Gelate primaverili

L’articolo dedicato alle gelate è una vera e propria lezione popolare. Dopo avere spiegato in maniera molto semplice, ma altrettanto rigorosa, il fenomeno della gelata (distinguendo le gelate per convezione da quelle per irraggiamento), l’autore passa a descrivere due metodi di prevenzione del fenomeno: le fumate e l’irrigazione antibrina. Il primo sistema, spiega Gino Salvaterra, consiste nel creare una densa nube di fumo che impedisce l’irradiazione del calore dal suolo e dalle piante. Serve allo scopo bruciare residui di potatura con strame, fogliame e segatura, meglio se integrati da bombole e da altri fumogeni di natura chimica che servono per coprire piccole oasi non adeguatamente difese. La nube di bisolfito di ammonio si ottiene facendo reagire anidride solforosa e ammoniaca contenute in botti separate trasportate su carro.

Salvaterra ha voluto dare maggiore evidenza all’irrigazione antibrina che aveva visto applicare diffusamente nei frutteti dell’Alto Adige dove ha lavorato come funzionario dell’Ispettorato agrario nell’immediato dopoguerra. A rendere impossibile o comunque difficile la realizzazione di impianti di antibrina in entrambe le Valli del Noce è stata e rimane l’insufficienza di acqua disponibile, oltre all’orografia del territorio.

(Sintesi tratta da un articolo di Gino Salvaterra tratto da Terra Trentina n. 4, aprile 1957)

Perplessità sulla fragola

Gino Salvaterra non ha risparmiato critiche e perplessità all’articolo del suo braccio destro nel settore della frutticoltura. I motivi fondanti del progetto fragole in zone di montagna sono chiaramente indicati da Pallaoro. Assicurare un reddito integrativo alle aziende di montagna con l’impiego di manodopera altrimenti inutilizzabile (donne e ragazzi), in periodi non pesanti per i lavori abituali in azienda. Ottenere una produzione tardiva o comunque posteriore al periodo di massima produzione delle zone di pianura e spuntare quindi prezzi remunerativi.

I primi interventi di un certo rilievo risalgono al 1969 quando furono istituiti i primi fragoleti in Val di Non (Coredo, Smarano) e in Val di Sole (Tozzaga, Croviana, Masi di Samoclevo, Pellizzano).

L’ente pubblico è intervenuto con l’acquisto delle piantine e del polietilene per la pacciamatura, mentre a carico degli agricoltori sono state le operazioni di scasso, fresatura, disinfezione del terreno e concimazione.

Nelle due annate successive l’iniziativa si è andata estendendo in altre zone quali la valle dei Mocheni (Sant’Orsola, Masi di Viarago, Palù del Fersina), il Bleggio (Cavrasto, Marazzone, Bivedo), la valle di Pinè (Faida), la Val di Sole (Pracorno).

(Articolo di Dario Pallaoro pubblicato su Almanacco Agrario, edizione 1974. Titolo: “La fragola, una coltura di notevole interesse per l’agricoltura di montagna”)

Vivaisti di Padergnone

Nel 1955 venne costituito il “Consorzio vivaisti di Padergnone e Calavino” e ciò in vista di un perfezionamento delle fasi di commercializzazione delle viti innestate e della disponibilità di legno americano da innesto, la semplificazione delle operazioni tecniche, la collaborazione piena sia nella produzione che nel collocamento degli innesti. Con il contributo della Regione, il consorzio realizzò il vivaio di ettari 3,5 con moderne tecniche di avanguardia. Anche la forma di allevamento in pergola con circa 15 fili di ferro fu rivoluzionaria in quanto prima il legno americano veniva lasciato scorrere per terra ottenendo una più elevata percentuale di scarto, per la scarsa maturazione che raggiungevano i getti. Il dr. Gino Salvaterra fu sempre vicino ai vivaisti fornendo preziosi suggerimenti e promuovendo un continuo ammodernamento delle tecniche di produzione.

(Articolo di Giuseppe Morelli intitolato “Vivai e vivaisti: onore e vanto di Padergnone e Calavino” pubblicato su Terra Trentina agosto-settembre 1970)

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina