Un agosto turbolento

Agosto non è stato come da tradizione il mese delle schermaglie politiche buttate lì per vedere l’effetto che fa in vista di un autunno in cui poi le cose sarebbero state affrontate più seriamente. Complici vicende particolari, alcune prevedibili (problemi sull’immigrazione) altre no (crollo del viadotto Morandi a Genova), il governo giallo-verde ha fatto politica in maniera pesante. Non si può però dire che si capisca veramente dove vuole andare a parare.

Certamente i due vicepremier si danno da fare per mantenere alta la tensione su tutto e per trasmettere l’impressione che sia in atto una specie di grande rivoluzione nella politica italiana. Il premier è un desaparecido, che ogni tanto viene timidamente in scena per dire che è del tutto d’accordo con quanto hanno già proclamato i suoi due vice: non esattamente quel che serve per accreditare un paese con una guida sicura verso l’ipotizzato cambiamento.

Il linguaggio che usano sia Salvini che Di Maio è quello tipico della demagogia: eccitare l’opinione pubblica indicando capri espiatori per i problemi che sono sul tappeto (e che vengono drammatizzati al massimo) e presentare se stessi come contemporaneamente i coraggiosi riformatori del passato e gli obiettivi di tutti gli attacchi della reazione (che questa ora venga da sinistra fa gioco). Perché lo fanno, se dispongono già, a stare ai precedenti risultati elettorali e ai sondaggi, di un consenso popolare maggioritario? La risposta è molto semplice: perché sotto sotto sono consapevoli che quel genere di consenso è molto volatile e potrebbe dissolversi altrettanto rapidamente di come si è formato. Dunque quel consenso va mantenuto “caldo” e va consolidato rendendo indiscutibile la narrazione su cui è stato costruito.

Non è difficile mostrare che le politiche proposte dal duo sono assai zoppicanti. Il contrasto con l’Europa è più che rischioso per un paese che ha un enorme debito pubblico e non è certo facendo i bulli a pro di telecamere e social che si otterrà ascolto e sostegno. Fra il resto quando parlano i ministri non si documentano neppure in maniera adeguata. Di Maio ha buttato lì la favoletta dell’Italia che non darà più 20 miliardi alla UE, per farsi dire dal commissario Oettinger che i miliardi sono 16 e di questi solo 3 sono realmente versati, perché gli altri tornano al nostro paese sotto forma di finanziamenti. Ebbene, per essere documentato sulla faccenda il capo politico dei pentastellati non aveva neppure bisogno di qualche tecnico, bastava ascoltasse il giornale del mattino di Radio Radicale dove già molti giorni fa il corrispondente da Bruxelles David Carretta aveva dato le stesse cifre.

Non parliamo di quanto si sta facendo a margine della tragedia di Genova. Che lì si siano accumulate incurie, impantanate questioni nei meandri del sistema legal-burocratico italiano, favorita la fame di guadagno dei concessionari, scontati ritardi dovuti all’eterna influenza dei particolarismi locali dal basso (sostenuti da M5S), è diventato palese. Trasformare questo in una narrazione che mischia la solita storia della famiglia di capitalisti cattivi (adesso non van più di moda i comunisti di Berlusconi) con il rinascente mito delle virtù dell’economia nelle mani dello stato suona patetico.

Tuttavia chi pensa che questo preluda ad una rapida caduta di questo governo di dilettanti allo sbaraglio e demagoghi inebriati del proprio successo temiamo si illuda. La narrazione che viene propinata dai nuovi governanti è di quelle che possono durare, perché hanno già istillato il pre-giudizio che se le cose non andranno bene sarà una prova che erano buone, e che i “cattivi” non hanno voluto che il nostro paese potesse godersi il suo posto al sole. E’ una vicenda che si è vista più volte nella storia, anche se si sa come va poi a finire quando si è costretti a fare i conti coi famosi nodi che vengono al pettine. Ma questo non avviene in tempi brevi.

C’è dunque da attendersi che la strategia dei due dioscuri della nuova politica continuerà e cercherà di formare nel paese una specie di guerra civile fredda fra una maggioranza eccitata a sostenere il sogno di un cambiamento che alla fine si otterrà senz’altro (spezzeremo le reni all’Europa?) e una minoranza che però al momento non riesce a trovare modi per formare uno strumento di reazione a questo andazzo.

I partiti di opposizione sono troppo occupati a guardarsi l’ombelico, a blindare le loro classi dirigenti sconfitte e ad accettare di scendere sul terreno polemico che gli hanno approntato i governativi (quello dove devono giustificarsi per il loro passato), su cui sono già sconfitti in partenza.

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