Mali, crocevia di incontri

In vaste zone la jihad supplisce alle carenze dello Stato, come assicurare una qualche forma di ordine e sicurezza sociale

Crocevia di carovane di migranti; terra al centro delle brame di potenze regionali; possibile ulteriore insediamento di forze jihadiste; il Mali è una zona d’Africa subsahariana che riassume in sé molte delle contraddizioni del subcontinente. Un intrico di interessi, per dirla col titolo di un famoso romanzo di Francois Mauriac (scrittore francese, e l’area maliana è francofona): un “groviglio di vipere”. Alcuni anni fa la Francia era intervenuta mandando un proprio contingente militare –tuttora presente con circa 4mila uomini.

E se l’operazione Serval – al di là del giudizio che se n’era espresso: un intervento neocoloniale? – aveva sedato un focolaio di forte tensione al nord del Mali in cui erano coinvolti i Tuareg e il movimento dell’Azawad con ribelli arabi pronti alla secessione, rimanevano del tutto irrisolti i problemi del resto del paese con forti e mai pacificate tensioni tra gruppi etnici e – soprattutto – con l’insediamento degli ultimi mesi di uomini in armi proveniente dalla Siria e dall’Iraq che si richiamano esplicitamente al fondamentalismo islamico più combattivo e intransigente.

Per capire qualcosa, in questo caotico ginepraio, occorre andare per gradi. Prima di tutto il territorio – immenso -, però con aree più appetite perché più strategiche. Poi la non facile convivenza tra gruppi etnici che storicamente avevano saputo stare l’uno a fianco all’altro senza pestarsi i piedi – una convivenza di tipo ancestrale che la formazione dello Stato, disegnato a tavolino dalle potenze coloniali europee, ha in parte mandato in frantumi riaccendendo rivalità e dissidi. Infine la presenza insistente e pervadente, come detto, dell’islamismo più radicale e fazioso. Che sta prendendo sempre più piede, cercando di ingraziarsi i favori della gente attraverso una strategia molto accattivante. In pratica in territori del tutto abbandonati a se stessi, la jihad fa una sorta di supplenza alle carenze o addirittura mancanze dello Stato, come assicurare una qualche forma di ordine e sicurezza sociale. Mettendo, altresì la popolazione sotto ricatto: vi assicuriamo la consistenza del vostro gregge e però vi imponiamo che le vostre donne mettano il velo. E’ una forma surrettizia, e nemmeno percepita come violenta, di insinuarsi nei costumi e negli usi delle popolazioni locali: tra gli agricoltori sedentari (Barbaro e Dogon); gli allevatori (Fulani e Tuareg); i pescatori (Bozo).

Così – altro esempio – nell’amministrazione della giustizia – una giustizia rudimentale, ma non per questo meno sentita dalla gente – a fronte di una parvenza di Stato inesistente, si permettono, questi signori, un modo spiccio e molto celere per dirimere controversie e regolare contratti di piccola entità. E, in un territorio molto povero di “istituzioni” scolastiche risulta facilissimo istituire scuole coraniche, terreno fertile per garantire una forma di istruzione gratuita e al contempo “indottrinare” secondo i rigidi canoni islamici.

Il risultato, nel breve periodo (stiamo parlando di appena qualche anno) è la “desertificazione” delle comunità (oltreché del territorio). Un missionario che percorreva quelle aree in quella che amava chiamare una “pastorale umile della condivisione” (lui, povero cristo – così si definiva – unico europeo in una zona vasta come l’intero Triveneto) ci assicurava che Mopti – un tempo la “Venezia del Mali” -, città situata alla confluenza tra i fiumi Niger  e Bani, un Eldorado un tempo, per la spinta propulsiva che assicurava all’economia dell’intera regione, era ora in via di progressivo spopolamento; le crociere verso Timbuktu una volta stracolme, ora deserte, i vogatori di piroghe disoccupati.

Non a caso l’Ufficio locale dell’Onu ha classificato nel corso degli ultimi mesi ben 63 attacchi di tipo terroristico.

Terrorizzare la popolazione, disperderla, metterla in fuga è un obiettivo fin troppo palese. E fin troppo facile. Anche così si contribuisce a disgregare un territorio e la paura, tra la povera gente, diventa l’unica bandiera.

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