Sicurezza è termine ambiguo, usato strumentalmente.
Michele Nardelli: Con il vento che tira, parlare di sicurezza oggi non è facile. Va detto che il libro nasce in tempi non sospetti. Sicurezza è parola polisemica, può essere declinata in tante maniere.
Voi come la declinate?
Nardelli: Ci siamo detti: proviamo a ragionare sulle paure, che non vanno esorcizzate, ma affrontate. Una possibile declinazione di questa parola è “prendersi cura”.
Cereghini: Le persone non devono essere abbandonate. Il mondo sta cambiando rapidamente e ciò genera inquietudine. Occorre affrontare le paure prendendosi cura delle relazioni. Usare l’acqua e l’olio, non la benzina.
Sicurezza è forza, telecamere di sorveglianza, controllo…
Noi invece proviamo, in sintonia con la collana della casa editrice Messaggero, a “specchiare” questa parola. Oggi dovremmo imparare a riprendere in mano le parole.
Come proporre un racconto diverso, investiti come si è dai tweet del ministro dell’Interno?
Partendo da una constatazione: il tema della sicurezza ha a che fare in primo luogo con il fatto che ci troviamo immersi in quella che Papa Francesco chiama “la terza guerra mondiale a pezzetti”. Credo che il Papa non si riferisca tanto alle molte guerre che si combattono nel mondo, quelle ci sono sempre state: penso che si riferisca piuttosto alla guerra che abbiamo dichiarato contro il nostro prossimo.
Si spieghi meglio.
Siamo tutti a difendere il piccolo spazio che abbiamo conquistato. Ma in un contesto di conclamata insostenibilità del pianeta, il problema è far proprio la cultura del limite. E questo vuol dire fare ciascuno la propria parte. Noi in occidente consumiamo tre volte e mezzo quello che potremmo. E ci attrezziamo a difendere il poco che abbiamo. Si scatena così una guerra tra poveri.
Come se ne esce?
Riconsiderando il nostro stile di vita. Quando diciamo che i nostri stili di vita non sono negoziabili, quella è la guerra mondiale a pezzetti.
Il libro a chi si rivolge?
Nardelli: Non è un saggio sulla sicurezza, l’ha già fatto qualcuno più grande di noi, penso a Zygmunt Bauman. Noi facciamo un discorso politico sul tema della sicurezza. E’ un pamphlet che può parlare a tutti.
Cereghini: Noi facciamo un discorso civico e ci rivolgiamo a chi vuole capirne di più, anche dentro il mondo dell’informazione, degli operatori sociali, degli amministratori pubblici. Chi ha a che fare con la vita della polis dovrebbe capire le parole che usa; non gridare “sicurezza”, ma capire che dentro quella parola c’è la richiesta di cura.
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