Conservano quasi il 70% dell’acqua dolce del pianeta. Ma il loro ritiro è tra i fenomeni più evidenti dei cambiamenti climatici
Quasi il 70% dell’acqua dolce del pianeta è contenuta, in forma solida, nei ghiacciai. Se sono attendibili le previsioni di alcuni scienziati che prevedono la scomparsa della maggior parte di essi entro il 2100, tra ottant’anni, mica tra secoli, i nostri pronipoti potrebbero trovarsi con i rubinetti a secco.
Il ritiro inarrestabile dei ghiacciai è senz’altro tra i fenomeni più evidenti dei cambiamenti climatici in corso, dell’aumento medio delle temperature a causa di un sempre maggiore rilascio nell’atmosfera di anidride carbonica causato dalle attività produttive umane con conseguente creazione del “mefitico” effetto serra, pericolo numero uno per l’ecosistema terrestre.
Va peraltro ricordato che alcune ricerche sostengono che la situazione climatica odierna non si discosta poi molto da quella del periodo dei Romani, tra il 60 a.C. e il 200 d.C., pur con alcuni distinguo che vengono messi in evidenza dal glaciologo Christian Casarotto (vedi intervista in questa pagina, ndr).
Una piccola, ma significativa mostra al Muse di Trento, ricca di numeri, “Ghiacciai. Il futuro dei ghiacci perenni nelle nostre mani”, fa il punto della situazione.
I ghiacciai ricoprono 15 milioni di chilometri quadrati delle terre emerse (che sommano a 149 milioni 450 mila km quadri). Quelli alpini – dove, 26 anni fa, al Giogo di Tisa in val Senales, a 3120 metri quota, venne ritrovato Ӧtzi, l’uomo del Similaun – ne rappresentano un’infinitesima parte, lo 0,013%. In Antartide, al polo sud, ce n’è la maggior concentrazione per un’estensione di circa 13 milioni di chilometri quadrati con profondità che arrivano oltre i 4000 metri.
Le Alpi sono “punteggiate” da 5000 ghiacciai su una superficie di circa 2050 chilometri quadrati. Novecento di questi hanno la loro “base” in Italia. Il più esteso è quello dell’Adamello, tra Trentino e Lombardia, più del 90% dei manti nevosi permanenti sono piccolissimi non raggiungendo il chilometro quadrato di superficie.
Se ci sono alcuni dati, tra i molti, che certificano una situazione più che preoccupante se non disastrosa, basta dare un occhio a quella trentina. Nei sei gruppi montuosi caratterizzati dalla presenza di ghiacciai (Adamello, Presanella, Cevedale, Marmolada, Dolomiti di Brenta e Pale di San Martino), da metà dell’Ottocento ad oggi è andata persa circa il 70% della superficie glaciale con conseguente innalzamento, negli ultimi sessant’anni, di 300 metri della quota media a cui si trovano.
Nel 1850 i ghiacciai trentini erano 219 e si espandevano su 110 chilometri quadrati. Nel 2015 sprofondano a quota 146 su soli 32,2 Km quadri di estensione. L’arretramento accertato è di 15 metri l’anno.
E per il futuro non sono all’orizzonte segni di inversione.
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