Un'analisi accurata dell'idea di “sicurezza”, tanto in voga tra i populisti d'ogni risma

Calano i reati, ma permane, anzi, si rafforza nell'opinione pubblica l'idea che le nostre città stiano diventando sempre più insicure. L'altro è visto come nemico, potenziale fonte di pericolo. Si dice e si scrive “sicurezza” e si pensa a paura, chiusura, allarme sociale.

Mauro Cereghini e Michele Nardelli in un saggio scritto a quattro mani indagano il carattere polisemico e sfaccettato della parola “sicurezza”, usata, anzi, spesso abusata, anche nel vocabolario della politica e dei mass media. Il loro libro “Sicurezza” (Edizioni Messaggero Padova) sarà presentato dagli autori a Bolzano giovedì 12 luglio alle 20 allo spazio La Rotonda con Liliana Di Fede, pedagogista, e Paul Renner, teologo, e a Trento venerdì 13 alle 18 alla Libreria due punti in via San Martino, 78. Discuteranno con gli autori Lucia Fronza Crepaz e Antonio Rapanà.

Partendo dal cosiddetto “paradosso delle inferriate” – le statistiche riportano un calo dei reati e, al contempo, l’aumento dell’insicurezza percepita – il libro di Cereghini e Nardelli propone un cambio di paradigma, un nuovo umanesimo capace di far propria la cultura del limite e la forza della nonviolenza. Sono pagine che invitano a ripensare il significato della parola “sicurezza”, per liberarla dallo stereotipo che l’associa alla difesa e all’esclusione, cogliendo invece la domanda intima e profonda che le soggiace: quella del prendersi cura. L’idea di fondo è che occorra trasformare l’idea di sicurezza, passando dalla concezione di “difesa dagli altri”, richiamato spesso dall’immagine dello “scontro di civiltà”, a quella di “cura dello stare assieme”.

Gli autori mostrano anche alcuni esempi concreti di come incamminarsi verso un nuovo umanesimo, capace di riconsiderare i diritti in base alla loro esigibilità universale, e di modificare i comportamenti verso la sobrietà nei consumi e la qualità nelle relazioni.