Start-up, un seme fecondo da coltivare

Le nuove imprese basate su un’idea innovativa sono un buon termometro dello spirito imprenditoriale esistente in un Paese

Le start-up, cioè le nuove imprese basate su un’idea innovativa e pronte a crescere rapidamente, sono un buon termometro dello spirito imprenditoriale esistente in un Paese. In Italia queste neonate eccellenti formano un gruppo vispo, ma ancora gracile. Spiega l’ex Ministro dello sviluppo economico, Carlo Calenda, nell’apposita Relazione annuale al Parlamento (2017): «le start-up e le PMI innovative sono cresciute in maniera significativa, raddoppiando il loro numero negli ultimi due anni, e ad oggi non sono più considerabili come una realtà di nicchia, visto che esprimono complessivamente oltre 2 miliardi di euro di fatturato e offrono circa 50 mila posti di lavoro: tali valori, seppur in crescita, sono ancora lontani da benchmark internazionali». La relazione ministeriale assegna al Trentino Alto Adige, con le sue 214 start-up innovative (140 trentine) il primo posto per concentrazione regionale di questo tipo di imprese, ma non ci esime dalla pecca che nel nostro Paese accomuna le settemila start-up e le altre PMI innovative: gli striminziti apporti di capitale, appena 160 milioni di euro, poca cosa rispetto, ad esempio, ai 2 miliardi ciascuna di Germania e Francia. Nonostante questa fatica ad attrarre fondi, non mancano casi virtuosi di neo-aziende molto promettenti. Il che fa pensare che con un contesto più favorevole all’imprenditorialità, i processi di crescita non tarderebbero ad accelerare.

È questione di cultura d’impresa, di facilitazioni all’avvio, di snellimento burocratico e fiscale, di infrastrutture, di contaminazione con i poli di ricerca e di eccellenza, di attitudine e accettazione collettiva del rischio d’impresa: ce n’è per tutti, perché serve più convinzione in tutto per coltivare questo seme.

La politica economica e la normativa europea cercano di fare la loro parte, trattando questo tipo di aziende in modo particolarmente favorevole. I regimi di aiuto alle imprese nascenti, ad esempio, possono prevedere sovvenzioni, prestiti e garanzie «non conformi alle condizioni di mercato»: in ambito europeo questa è una concessione molto generosa. La Giunta provinciale vi si è inserita con il recente bando sul Fondo europeo di sviluppo regionale, per sostenere progetti di avvio e consolidamento di nuove imprese locali (ne abbiamo parlato su Vita Trentina del 14 giugno, ricordando la scadenza delle domande il 27 luglio). La lunga lista delle spese ammissibili e il sostanzioso contributo pubblico indicano una particolare cura per la fertilità del tessuto imprenditoriale, con preferenza per i giovani e le donne. Secondo il punteggio ottenuto, sono agevolabili dal 40 al 75 per cento (con 10 punti in più per i migranti): le spese di costituzione, le bollette, le spese condominiali, l’utilizzo di banche dati, brevetti, licenze e certificazioni, la spesa per arredi, attrezzature, impianti, componenti informatici, progetti, consulenze, campagne di marketing, commissioni, tributi e altro ancora. Il tutto fino a 100 mila euro, con una pingue riserva di fondi per gli aiuti: 4 milioni.

L’abbeveratoio c’è; adesso non resta che aspettare i cavalli. Nei tre anni scorsi ne sono arrivati centinaia, ma ne servono altri, che abbiano voglia di bere per galoppare veloci. Altrove, in Europa, sono molto più avanti di noi.

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