“Aiutiamoli a casa loro!” Ma come?

Le frasi fatte – come quell’ “Aiutiamoli a casa loro!” che si sente ripetere a proposito degli immigrati – restano sempre impresse nell’immaginario collettivo e sembrano indovinate per risolvere i problemi. 

Molti  richiedenti asilo sono spesso definiti  come profughi “economici”, perché non fuggono da guerre o persecuzioni, ma provengono da situazioni  di fame e povertà insostenibili, di fronte alle quali le nostre politiche chiudono gli occhi, pretendendo solo di avere il diritto di rimandarli al loro paese.  Il ritornello “Aiutiamoli a casa loro!” ha molta presa sulle persone e sembra esprimere anche generosità, nella volontà di fare qualcosa per loro.

Certamente i profughi “economici” non hanno bisogno di aiuti saltuari o di progetti da esportare e applicare nei Paesi poveri, ma principalmente di giustizia, perché tanti Paesi del mondo non siano più ridotti alla fame da fattori esterni alle loro società.

E' stato pubblicato a Bari lo scorso 27 aprile il rapporto FOCSIV (la Federazione degli Organismi Cristiani di Servizio Internazionale Volontario) che ha messo davanti allo scenario mondiale le cause della riduzione in povertà estrema di tanti Paesi del mondo. Risulta evidente quanto regimi e multinazionali continuino a “rubare” terra alle comunità, con un’operazione chiamata “land grabbing”, perchè costringe le vittime di questi contratti di compravendita di terre a migrare verso le grandi città o verso altri Stati. Attualmente si sa di 2.200 contratti di acquisto o affitto nel mondo per 68 milioni di ettari di terre che non appartengono più alle popolazioni del luogo. Sorgono così nuovi “padroni delle terre” che le destinano alla produzione alimentare non rivolta alle popolazioni del luogo e alla produzione di ecocarburanti da esportare o per  l’attività estrattiva di materiali preziosi che vanno ad arricchire sempre più il mondo ricco.

Fra i primi investitori in questa azione di acquisto e sfruttamento delle terre sono multinazionali di Stati Uniti, Gran Bretagna, Olanda, Cina, India, Brasile, i colossi petroliferi dell’Arabia Saudita, Emirati Arabi e Malesia e i paradisi fiscali come Singapore e Liechtenstein. I primi 10 Paesi oggetto di investimenti sono soprattutto quelli impoveriti dell’Africa, come la Repubblica Democratica del Congo, specialmente il Kivu, Sud Sudan, Mozambico, Liberia, Senegal, Papua Nuova Guinea. La Focsiv – alla quale collabora come rappresentante della CEI il nostro Arcivescovo emerito Luigi Bressan – denuncia inoltre come la corsa verso la terra avvenga con una “pressione verso il basso” dei prezzi di acquisto delle terre, senza alcuna logica etica.

Anche l’Italia con alcune grandi imprese agroindustriali ed energetiche ha investito su un milione e cento mila ettari di terra, per la produzione di legname, fibre e idrocarburi.

Popolazioni intere sono costrette alla disperazione e i giovani migrano per non vedere morire di fame e stenti le loro famiglie. Allora, come “aiutarli a casa loro”? Non mandando di ritorno i cosiddetti “migranti economici” e non inventando progetti – tampone,  ma cominciando da subito un'azione che mandi via dall’Africa tutte le multinazionali che “rubano” terre, risorse vitali, petrolio, materiali preziosi. Così da lasciare che gli africani amministrino i loro beni in totale libertà.

Quando gli europei  fanno ai Paesi africani proposte di creare sul loro suolo campi per richiedenti asilo (i cosiddetti hot spot) significa che accettano la situazione di fatto. E non vogliono metter mano a rimuovere le cause che obbligano tanti a lasciare nella disperazione i propri Paesi.

don Beppino Caldera

Centro Missionario e Pastorale delle Migrazioni

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