Storicamente, infatti, passare dal paese era il modo più rapido per raggiungere l’altopiano di Pinè. Quando i viandanti proveniente dalla valle dell’Adige arrivavano di notte c’erano dei giovani che si offrivano di far loro strada, in cambio di qualche soldo. Si muovevano al buio nei boschi con gran disinvoltura, proprio come dei gufi. Da qui il soprannome che nel tempo, però, aveva anche assunto un tono dispregiativo.
Oggi, invece, è quasi un vezzo. Ce lo conferma Luca Gottardi, presidente della Confraternita del Beghel, nata tre anni fa con l’obiettivo di far rivivere il piccolo centro cembrano facendo leva, appunto, sull’antico appellativo. “Sono nato qui, 44 anni fa. Quando ero piccolo ricordo che c’era anche il doposcuola, eravamo probabilmente un 20% di abitanti in più”, racconta. “Da qui si gode una bellissima vista sulla valle di Cembra: abbiamo notato che i turisti che si fermano a fare le foto dandoci sempre le spalle… In paese non c’è né bar né alimentari, hanno chiuso una quindicina di anni fa. Oggi c’è solo una pizzeria”.
Una situazione che accomuna tante piccole frazioni che, negli ultimi anni, hanno sofferto e continuano a soffrire lo spopolamento. Ma i “bèghei” non sono tipi da piangersi addosso, ad arrendersi non ci pensano proprio. Anzi, si sono fatti venire un’idea, partendo proprio da quel soprannome che da sempre li caratterizza.
A Sevignano è nato così il “Simposio del Beghel”, manifestazione giunta quest’anno alla terza edizione. Dal 15 al 17 giugno le vie del paese vestite a festa hanno ospitato una ventina di artisti anche da fuori regione – “tutti quelli che riusciamo a farci stare…”, scherza Gottardi – che hanno scolpito, pitturato e forgiato opere raffiguranti l’elegante rapace notturno.
Le loro creazioni sono andate ad arricchire quella che, in tre anni, è diventata una vera e propria mostra a cielo aperto. “In tanti simposi le opere finiscono negli scantinati qui a Sevignano, invece, diventano installazioni fisse in un percorso che può essere sempre visitato. Siamo arrivati a una quarantina e di posto ce n’è ancora, perché gli abitanti si sono già offerti di ospitarle sulle loro abitazioni”, prosegue Gottardi che sottolinea come praticamente tutti i residenti siano iscritti alla Confraternita. “I tesserati sono oltre sessanta, e se togliamo i più anziani e i bambini, comprendiamo subito come la gente si identifichi in questa piccola ma attiva realtà”.
Orgoglio misto a inventiva, ricetta che può fare la differenza tra la vita e la morte di una piccola frazione valligiana. “Le persone avevano già gufi sulle porte e sulle finestre delle loro case, ma adesso ce ne sono ancora di più”, osserva Gottardi. “Intanto una coppia si è trasferita in paese, un’altra persona è venuta da fuori, uno degli artisti sta cercando casa qui da noi”, conclude il presidente della Confraternita. “Una volta ai propri figli si lasciava un appartamento, oggi forse è meglio lasciare un’opportunità”.
Lo sta diventando il “Paese dei gufi”, dove da qualche anno c’è una ragione in più per fermarsi, oltre allo scattare semplicemente qualche fotografia. E se incontrate qualcuno lungo la strada salutatelo pure chiamandolo “bèghel”. Non si offenderà, anzi.
Lascia una recensione