Per un paio d’anni Cesari ha tenuto un diario pubblico su Facebook mettendo a nudo se stesso, la sua malattia, i suoi sentimenti
Esiste una via laica alla buona morte? Un prepararsi all’estremo salto non avendo prospettiva alcuna di una salvezza oltre l’altra sponda, ma misurando i giorni che residuano – e vivendoli in pienezza – e dando a ciascuno di quei giorni un peso, una misura discreta di “beatitudine”, pur nella malattia che non lascia scampo? E’ stata questa l’esperienza esistenziale estrema di Severino Cesari, colpito da tumore al quarto stadio, sciame ischemico e complicazioni varie e già trapiantato di rene quarant’anni prima. Con complicazioni varie. “Malgrado i 26 farmaci quotidiani non sono ancora diventato immortale. Ma non dispero”.
Scrive con leggerezza ed ironia Cesari in un libro uscito postumo (Con molta cura, Rizzoli), un pedagogico trattato su “la vita, l’amore e la chemioterapia a km 0” come recita il sottotitolo. Un’intensissima meditatio vitae più che una meditatio mortis. Solo amando fino in fondo le cose della vita si possono apprezzare fino in fondo le realtà del cielo, osservava un grande teologo luterano della Chiesa confessante tedesca che non si era allineata al regime nazista, Dietrich Bonhoeffer, quando ormai gli appariva chiaro il suo destino di morte per decisione dello stesso Hitler: “Per me è la fine, l’inizio della vita”. Una curiosità notevole per le cose della vita che ha sempre animato Severino Cesari, fin da quando era responsabile delle pagine culturali del quotidiano “il manifesto”, e lo è stato per lunghi anni, e poi editor per Einaudi in una fortunata collana editoriale.
Per un paio d’anni Cesari ha tenuto un diario pubblico su Facebook mettendo a nudo se stesso, la sua malattia, i suoi sentimenti in una non facile “manutenzione” del suo corpo, l’animo sempre all’erta come sentinella al mattino, rimasta intatta, anzi accresciuta e divampata, la curiosità per le cose e le persone, dato dal riconoscersi in un comune destino con gli altri suoi esseri simili, tutti noi. E’ impressionante notare come Cesari abbia saputo dilatare lo sguardo man mano che lo spazio si restringeva nella sua stanza di dolore e di speranza, avendo la capacità inattuale di rompere la rigida routine del percorso medicale per introdurre sempre nuovi elementi di creatività e ingegno, ma – direi, soprattutto – di amore per il prossimo – una com-passione nella quale si riconosceva fino in fondo e senza infingimenti – e di perseveranza. Facendo suo un risvolto di Marco Aurelio, Severino Cesari non esita a dire: “Accogliamo tutto ciò che succede ritenendolo necessario, amico e scaturito dalla stessa nostra sorgente”.
Certo, non mancano in lui i momenti di sconforto, di sofferenza, il ritrovarsi solo e con una buona dose di nervosismo per il fatto di essere allettato o di non poter uscire a vedere quel sole che osserva dalla finestra, a respirare la brezza del mattino, ma “quando, dopo momenti faticosi, gli effetti della terapia sbiadiscono e torni a svegliarti presto, e il giorno sta ancora nascendo, è pura gioia e gratitudine poterlo vedere”. Pura gioia e gratitudine. Ed è anche la scrittura che per il paziente ha una funzione maieutica, di parziale, autentica salvezza. Salire sulla carrozzina, raggiungere lo studio, mettersi a scrivere per terminare il libro… ”Mi rende felice, lavorarci in quelle poche ore benedette. Confessiamolo pure, quelle ore fuori dal tempo mi salvano”.
Sono quattrocento pagine che si leggono d’un fiato, come se Severino Cesari fosse ancora qui che ci parla col suo parlare affabile, il tono gentile (conosciamo le sue cadenze, i suoi ragionamenti mai tronfi, l’abbiamo letto per anni, giorno per giorno su “il manifesto”).
Severino non c’è più, ma ce l’aveva detto: “Quando guarirò / Non importa se io non ci sarò più, a vedermi guarire / Io guarisco in ogni istante in cui mi curo”. E, fino all’ultimo, ha coltivato il giardino della sua vita, con pazienza e affetto, con molta cura. Una testimonianza terapeutica, umanissima, lascito oggi non frequente. Anche per questo preziosa meditatio vitae, valida per tutti.
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