Si fatica a dar da mangiare ai propri figli e i giovani non vedono nessuna prospettiva di vita
Il Burkina Faso vive un momento delicato di transizione che al momento non sembra trovare una sistemazione organica. Dopo la caduta di Blaise Compaoré – il presidente che ha governato dal 1987 quando congiurò contro il suo amico Thomas Sankara facendolo assassinare – sembrava che la società burkinabè fosse matura per un salto di qualità nel rispetto dei diritti umani fondamentali, tutti i diritti, a cominciare da quelli civili e politici, per un lungo tempo negletti, per arrivare a quelli sociali finora del tutto evasi.
Qualche anno fa si era resa evidente la discrepanza tra le organizzazioni “storiche” del cambiamento e della difesa dei lavoratori – i sindacati – e altre organizzazioni che si andavano costituendo nel vivo del tessuto sociale di comunità certamente non abituate ad obbedir tacendo.
Nel 2014, quando viene estromesso Compaoré, nascono piccoli e grandi gruppi – un po’ ovunque nel territorio, al centro come alla periferia – che rivendicano un loro protagonismo e vengono chiamati champignons (funghi). Sono attivi soprattutto nel contesto urbano, nella capitale Ouagadougou e nelle piccole città della provincia “profonda”, e sono il Balai Citoyen che significa “Ramazza dei cittadini” e il Mouvement Brassard Noir (Movimento fascia nera) che sono fortemente critici nei confronti dei sindacati tradizionali, a loro dire troppo compromessi con il potere e che godono di privilegi insopportabili.
Vengono accusati, i sindacati, di essere diventati strenui difensori di qualche migliaio di funzionari statali e dei loro stessi quadri e non più, però, dei 17 milioni di burkinabè. Un’accusa forte, che trova riscontro nel malcontento popolare, un popolo ormai refrattario ad ogni tipo di privilegio che vede nella “casta” quando alla gente vengono chiesti continuamente “sacrifici” in nome delle esigenze nazionali su richieste continue e pure pressanti del Fondo monetario che continua nel suo imperterrito compito degli “aggiustamenti strutturali” per dilazionare il credito, un cappio al collo per l’economia burkinabé, autentiche forche caudine per i consumi davvero ridotti al lumicino, ai bisogni strettamente essenziali e neppure quelli soddisfatti, e per quel minimo di welfare che esiste ed è continuamente contratto e ristretto.
Si fa presto a prendersela con l’immigrazione, ma quando si fatica a dar da mangiare ai propri figli – quando i giovani non intravedono nessuna, proprio nessuna prospettiva di vita -, chi non si guarda attorno e prende la via della ricerca di una vita che sia almeno uno straccio di vita, un barlume di una vita migliore?
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