Sopravvivere all’epoca incipiente di barbarie e di oscurità odierne sarà possibile solo attraverso l’arrivo di “nuovi san Benedetto”
Viviamo in un’epoca segnata da una grave crisi antropologica e culturale: relativismo e scientismo ne costituiscono le polarità dominanti. Il contesto in cui ci muoviamo tende a negare all’uomo il carattere di persona e si chiude alla presenza di Dio, orientandoci verso spiritualità vaghe e idolatrie indeterminate e fuorvianti. All’interno di quest’orizzonte problematico, due sono i luoghi esistenziali in cui l’umanità di ciascuno di noi risulta particolarmente esposta e quotidianamente minacciata: le relazioni e il lavoro, intesi entrambi nella loro valenza più profonda ed esistenzialmente significativa. Da un lato, sono le dimensioni amorose e amicali a risultare impoverite, schiacciate da una razionalità calcolante e da un vissuto affettivo semplicisticamente emotivo; dall’altro lato, è la prassi lavorativa a trovarsi in una situazione di crisi, dal punto di vista non solo economico, a causa degli importanti processi di cambiamento in atto, ma anche a causa della mancanza di una adeguata concezione del lavoro in grado di coglierne e valorizzarne, esperienzialmente, l’aspetto etico e spirituale.
In questa situazione d’incertezza e disorientamento, di confusione e fragilità, simile, secondo alcuni, allo smarrimento conseguente al declino e al crollo dell’Impero romano d’occidente, chi o che cosa può indicarci una strada e rappresentare un punto di riferimento? Paolo Fedrigotti, docente presso la Scuola diocesana di formazione teologica (Sdft) e Preside del Collegio Arcivescovile di Trento e Rovereto, ritiene – insieme ad interpreti celebri come Alasdair MacIntyre o Papa Ratzinger – che la possibilità di sopravvivere all’epoca incipiente di barbarie e di oscurità odierne risulti realizzabile solo attraverso l’arrivo di nuovi san Benedetto, di figure capaci cioè di promuovere e costruire nuove forme di comunità, nelle quali la vita morale, sociale e intellettuale possa essere conservata, sostenuta e rinnovata.
È da questa convinzione che nasce l’idea di proporre presso la Sdft un corso dal titolo Una Regola per essere liberi. Le lezioni si terranno il sabato pomeriggio, in data 14-21-28 aprile e 5 maggio e mireranno ad approfondire la spiritualità di san Benedetto per toccarne con mano l’attualità.
Riferendosi alla Regola, Fedrigotti è convinto che il modello di vita proposto dal fondatore di Montecassino – sintetizzata dal notissimo motto «ora et labora» – possa essere considerato più che un insieme di principi spirituali un progetto di vita validissimo anche per l’uomo postmoderno. «Regula – afferma il docente – è una parola che oggi viene tradotta in modo affrettato con il termine regola; nell’accezione originaria essa significava indicatore stradale oppure ringhiera, cioè, qualcosa a cui aggrapparsi e sorreggersi nel buio o nei momenti di stanchezza, qualcosa cioè che indica il cammino e che aiuta ad andare avanti verso una determinata (corretta) direzione. Mi sembra che la Regula non raccolga solo una serie di istruzioni, ma costituisca una guida per aiutare – concretamente e progressivamente – oltre che il monaco, qualsiasi cristiano a costruire un corretto stile di vita verso la santità».
Ma che cosa oggi san Benedetto avrebbe da dire sull’uomo e, in particolare, sulla sua vita affettiva e lavorativa? Perché san Benedetto potrebbe o dovrebbe rappresentare un punto di riferimento imprescindibile per la società in cui viviamo?
«Che la Regola di S. Benedetto non sia stata superata dai tempi – afferma Fedrigotti – è opinione di tutti coloro che l’hanno studiata con intelligenza e l’hanno saputa intendere in profondità. Per rispondere a tale quesito, potremmo dire che il primo motivo della perenne attualità della Regola di Benedetto sia la sua impostazione eminentemente cristocentrica. E a livello umano, tuttavia, che mi pare che la Regola di Benedetto abbia una sua specificità del tutto particolare e che proprio su questo piano poggi la sua perenne attualità. S. Benedetto, scrivendo nel VI secolo la sua Regola, non ha davanti l’uomo del suo tempo, strutturato e condizionato dalle situazioni storiche e sociali del momento, non pensa a uomini particolari, ma all’uomo in sé, con quelle caratteristiche, esigenze, miserie, attese che oltrepassano le circostanze e sono costanti anche se percepite e vissute nel tempo in modi diversi. Il genio di Benedetto – se così possiamo definirlo – sta proprio qui: nel collocare l’uomo, così come è, nella sua struttura più profonda e nella sua realtà esistenziale davanti a Dio, alla sua chiamata, alle sue esigenze. Possiamo dire che la spiritualità benedettina offra all’uomo d’oggi proprio ciò che manca ai nostri tempi. Essa cerca di riempire il vuoto e di comporre la frammentarietà nella quale molti di noi vivono e lo fa in modo sensato, completo e accessibile in un contesto che è oppresso dai ritmi del guadagno e dalle sirene della produttività, eccessivamente stimolato e programmato. La Regola di San Benedetto che chiamò alla comunione il mondo tardo antico, sembra chiamare noi a realizzare lo stesso. La spiritualità benedettina invita, soprattutto, alla profondità in un mondo quasi sempre contraddistinto da superficialità e fragilità; propone un insieme di atteggiamenti consistenti e stabili ad una società che è stata sedotta da iniziative promozionali e soluzioni temporanee. La spiritualità benedettina offre profondità e saggezza dove la devozione ha perso significato e l'ascetismo valore. La spiritualità benedettina è una buona novella in tempi difficili. Insegna alla gente a considerare il mondo come qualcosa di buono, le sue necessità come legittime e il sostegno umano tra i soggetti in gioco come necessario. La spiritualità benedettina non chiama a compiere grandi imprese o a esprimere grandi rifiuti. Possiamo anche dire che la spiritualità emergente dalla Regola di San Benedetto sia ricolma di una quotidianità vissuta straordinariamente bene. Per essa, trasformare la vita conta più che trascenderla. Ecco perché la Regola di San Benedetto è destinata alle persone che, nel mondo di oggi, lavorano faticosamente, sempre indaffarate, consumate dalla vita familiare, dai conti, dai doveri civili e dal duro lavoro, così come è destinata a chi ha dedicato se stesso a vivere una vita religiosa in mezzo agli uomini».
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