La ricognizione di una delegazione di Caritas diocesane italiane nella valle della Bekaa in Libano
Tacciano le armi e taccia anche “tanto giornalismo di parte”: a chiederlo sono le monache cistercensi della Stretta Osservanza (Trappiste) in Siria, che appartengono al monastero italiano di Valserena. In una lettera diffusa in questi giorni, le religiose – parlando delle operazioni militari per la liberazione del Ghouta e dei giudizi espressi a riguardo nei giorni scorsi dai religiosi di Damasco e da tutti i religiosi siriani – si dicono “davvero stanche, nauseate da questa indignazione generale che si leva a bacchetta per condannare chi difende la propria vita e la propria terra”. “Perché – si legge nella lettera – nessuno si è indignato, perché non sono stati lanciati appelli umanitari” a favore di chi, a Damasco, è rimasto sotto le bombe lanciate dal Ghouta dai ribelli? Tanti sono bambini che hanno “paura di uscire di casa e andare a scuola”. “Certo, anche quando l’esercito siriano bombarda ci sono donne, bambini, civili, feriti o morti. E anche per loro preghiamo”, scrivono, interrogandosi sulla “cecità dell’Occidente”: “Come è possibile che chi informa, anche in ambito ecclesiale, sia così unilaterale?”, si chiedono le religiose.
Della guerra in Siria vista con gli occhi dei profughi in Libano racconta l’inviato dell’agenzia Sir Daniele Rocchi, che ha accompagnato la visita ad un campo profughi siriano nella valle della Bekaa, 45 km a est da Beirut, di una delegazione di Caritas diocesane italiane.
Il numero dei rifugiati siriani in Libano è stimato in 1,5 milioni: il 30% della popolazione libanese. Il 15 marzo sarà l’ottavo anno di guerra (è scoppiata nel 2011).
“Segnato dall’esperienza dei campi profughi palestinesi aperti dal 1948, dopo la proclamazione dello Stato di Israele, e ancora in piedi, il Libano non ha permesso la creazione di campi legali per i rifugiati siriani che hanno a loro volta improvvisato dei veri e propri accampamenti di fortuna”, scrive Rocchi da Zahle. “Secondo diversi organismi come Croce Rossa e Caritas Libano in tutta la valle della Bekaa ci sarebbero oggi qualcosa come 1900 campi ‘informali’ dove vivono circa 800mila persone. Per questi rifugiati la Bekaa è diventata una terra di mezzo”. I campi informali, spiega nell’articolo del Sir Ramzi Abou Zeid, coordinatore di Caritas Libano delle operazioni per i rifugiati, nascono su terreni affittati dagli stessi profughi. In questi campi si ritrovano interi gruppi familiari o persone della stessa provenienza. Gran parte degli uomini e dei giovani di giorno sono impegnati in campo agricolo o nell’edilizia, gli unici settori, con quello ambientale, nei quali è concesso ai rifugiati di lavorare legalmente. E l’unica speranza coltivata è quella di partire, un giorno, per gli Usa, il Canada, l’Australia o l’Europa.
Ai rifugiati siriani in Libano dà voce Operazione Colomba, il corpo di pace dell’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, rilanciando la “Proposta di pace” promossa da organizzazioni ed associazioni che radunano semplici cittadini e famiglie siriane oggi profughe nel nord del Libano. Chiare le richieste: “La creazione di zone umanitarie, territori che scelgono la neutralità rispetto al conflitto, sottoposti a protezione internazionale, in cui non abbiano accesso attori armati; l’apertura di corridoi per portare in sicurezza i civili in pericolo fino alla fine della guerra e che tutti i rifugiati ritornino a vivere in pace e sicurezza nella loro Patria; stop ai bombardamenti, al rifornimento di armi e che le armi già presenti vengano eliminate; fine degli assedi a decine di città siriane”, sintetizza Alberto Capannini di Operazione Colomba.
La proposta è stata presentata lo scorso anno a Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, alla Camera dei Deputati e a novembre scorso al vice presidente dell’Ue, Frans Timmermans, ed è tornata d’attualità in questi giorni segnati dai violenti combattimenti nella Ghouta, sobborgo di Damasco. “Non possiamo lasciare la soluzione di questa guerra nella mani di chi questa guerra l’ha provocata”, afferma Capannini. “Chiediamo al Governo italiano e a quelli europei di appoggiare questa Proposta di pace scritta proprio in un campo profughi”.
Un nuovo round di colloqui per fermare l’escalation dei combattimenti in Siria è in programma il 16 marzo ad Astana, la capitale del Kasakistan, dove si riuniranno i ministri degli Esteri di Ankara, Teheran e Mosca (assenti invece i rappresentanti delle parti coinvolte del conflitto). Parteciperà come osservatore l’inviato speciale Onu. L’obiettivo è trovare le “misure necessarie” per garantire una tregua nel conflitto.
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