Una campagna elettorale segnata dall’incertezza

L’incertezza è una delle chiavi di lettura dell’attuale campagna elettorale. C’è una politica delle incertezze e un’incertezza verso la politica. La prima è determinata da un insieme di fattori. La stessa nuova legge elettorale sembra consegnerà al paese una tri-polarità che richiederà almeno che due poli si accordino fra loro. Ad affermarlo è Daniele Marini, direttore scientifico dell’Istituto di Ricerca “Community Media Research” e professore di Sociologia dei processi economici all’Università di Padova che nella sua indagine mensile sui comportamenti dei nordestini ha messo sotto la lente d’ingrandimento, in vista delle elezioni, il rapporto con la politica e con il voto. «Proprio per cercare di attrarre un elettorato disaffezionato, s’è generato un vero e proprio “mercato delle promesse” dal quale recentemente gli stessi vescovi hanno messo in guardia» nota il sociologo. «Ci ritroviamo di fronte a una politica che si mostra indeterminata nelle sue visioni e nei programmi per il futuro del paese. È la politica delle incertezze. Ciò è il riverbero di un’altra dimensione che spaventa le forze politiche: l’incertezza verso la politica. Essa trova alimento nella possibilità che un novero cospicuo di elettori non si rechi alle urne».

La ricerca di Community Media Research, in collaborazione con Intesa Sanpaolo – Cassa Risparmio Veneto, più che sondare le intenzioni di voto, «ha esplorato gli orientamenti nei confronti della politica, dei partiti e le motivazioni che lo precedono».

Il dibattito politico fa emergere una maggiore attenzione ai temi elettorali e un crescente sentimento di vicinanza alle formazioni politiche. Ma sempre tenendo una certa distanza. «Cresce – nota Marini – una “vicinanza disincantata” e, soprattutto, un atteggiamento negoziale verso l’offerta politica».

Il confronto con una precedente rilevazione, svolta all’epoca delle ultime elezioni amministrative regionali (2015), mette in luce come diminuisca il livello di identificazione con un partito (8,8%, era il 16,4% nel 2015). Piuttosto, cresce un generico interessamento verso un partito (26,4%, dal 16,9% del 2015). «Soprattutto è un sentimento negoziale ad aumentare in misura più cospicua: il 36,4% dei nordestini dichiara di non avere un partito o movimento in cui si identifica, ma di valutare di volta in volta (era 16,8% nel 2015) l’offerta politica. È il segno emblematico dell’affievolimento delle appartenenze tradizionali, cui ancora nessuna cultura politica si è sostituita».

I moderati e quanti non si riconoscono nelle tradizionali culture politiche costituiscono per i partiti i bacini elettorali cui attingere per accrescere la propria riserva elettorale. Il profilo di chi non vuole o riesce a collocarsi lungo il continuum destra-sinistra è sufficientemente chiaro. Si tratta di circa il 28,6% dei nordestini, con una forte componente femminile (28,6%), di giovani (31,8%, fino a 24 anni) e di chi ha un basso titolo di studio (29,8%).

Ma, ad oggi, quanti pensano di andare o meno a votare? Il 70,7% dichiara che si recherà alle urne, mentre il restante 29,3% mostra perplessità. La quota è simile all’astensionismo del 2013 con un leggero ulteriore aumento. «In particolare – spiega Marini -, l’incertezza riguarda chi ha un atteggiamento negoziale verso la politica, i distaccati, gli elettori di orientamento moderato e chi non si colloca nello schieramento politico. Il motivo prevalente (e crescente nel tempo) per cui non pensano di recarsi a votare è perché lo ritengono un atto inutile: tanto le cose non cambiano (67,3%, 36,9% nel 2015).

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