Inviato in Libia e fatto prigioniero dagli inglesi, passò cinque-sei anni in un campo di prigionia in India ai piedi dell'Himalaia
“Ma sì, posso essere contento di aver guidato la macchina fino ai cento anni…. adesso però non mi hanno più rinnovato la patente…” . Non gli interessa battere i record, il maestro Manzinello è un centenario Felice, di nome e di fatto, a giudicare dalla serenità e dalla riconoscenza con cui misura lo svolgersi della vita.
Salute di ferro e spirito ancora volitivo, il 25 novembre ha spento la centesima candelina durante una semplice festa nella quale ha ricevuto dal sindaco il quadro donato dal Comune di Trento ad ogni centenario. A quell'appuntamento c'era anche la cara moglie Anna Zorzi, che purtroppo qualche giorno dopo è volata in Cielo, dopo 63 anni di matrimonio.
Ora il maestro Manzinello vive da solo nella casa trentina di via Vivaldi – un appartamento INA, costruito a fine anni ’50 per gli insegnanti – dove lo vengono a trovare i tre figli, le nuore, i cinque amati nipoti. Accoglie la nostra gradita visita, mentre sta predisponendo gli addobbi natalizi e gli viene subito naturale un accostamento col Bambinello. “Anch’io, sapete, sono nato in una stalla”, racconta volentieri riportandoci a quel Natale di cento anni fa, nella furia della guerra. Racconta che il papà – un bravo sarto mandato al fronte troppo presto – aveva accompagnato la famiglia “sfollata” nella provincia di Vicenza, in una casa contadina di Montegalda, dove Felice era stato partorito nel luogo più caldo, vicino alla mangiatoia appunto. A quelle ore risale anche la scelta del suo nome impegnativo: “Non c’erano gli angeli attorno, e nemmeno i Re Magi con i loro doni preziosi.. tanto che qualcuno ha detto guardandomi in fasce: qua dentro è l’unico veramente felice!”. E Felice fu.
Manzinello ha raccontato anche ai suoi numerosi alunni l'origine del suo nome, ma tutta la sua vita – rivisitata con memoria invidiabile, senza vanagloria – è un romanzo avvincente, quasi un’istantanea lunga un secolo: 26 anni d’insegnamento, ben 6 anni all'estero in tempo di guerra, e addirittura 43 di pensione.
Come mai diventa maestro? La risposta parte dalle condizioni di tante famiglie dell'epoca. Viene inviato da ragazzo a studiare presso la Congregazione dei Padri Venturini, sulla collina di Trento. È proprio il fondatore, l’indimenticabile padre Mario, a preoccuparsi per la sua sua salute, prevedendo per l’estate periodi di recupero fisico, d'obbligo per un giovane troppo magro. Ma quando Venturini valuta serenamente che il sacerdozio “non è la sua strada” si invita quel giovane di quarta superiore a passare alle Magistrali di Rovereto, dove si diploma nel 1936.
Ma un anno dopo arriva la cartolina della naja: viene inviato a Napoli per il corso sottufficiali di fanteria. Farà scuola un anno a Nova Ponente e poi a Povo dove nel 1941 lo coglie lo scoppio della guerra e l’imbarco su una nave. Destinazione: il deserto della Libia, nella difficile zona di Tobruk. “Arrivarono gli inglesi, erano i tempi del generale Rommel, la volpe del deserto; ci fecero prigionieri il 24 aprile 1941 e ci misero su una nave per portarci in India: dopo un viaggio di 15 giorni eravamo a Bombay e poi Bangalore”.
Dieci mesi dopo Manzinello viene trasferito nell’apposito campo per sottufficiali, allestito come una baraccopoli sospesa ai piedi dell’Himalaia, nella zona di Yol. “Eccolo qui come lo ho ritratto in questo quadro realizzato nel tempo libero, inserendo anche alcune piante esotiche”. E’ come una fotografia, quel disegno a colori, giustamente riprodotto in vari libri come testimonianza originale. Ma altri cento quadretti piccoli, disegni spesso in bianco nero, sono raccolti dal maestro Felice in un album che apre soltanto agli amici: ricordi di quanto annotava durante la prigionia, fotogrammi di un’epopea che il nostro maestro ha contribuito a rievocare anche nel documentario trentino “Yol Camp, prigionieri di guerra in Himalaia“ realizzato da Diego Busacca e Agrippino Russo. “Due volte al giorno un maggiore veniva a farci la conta, che durava quasi due ore: il numero dei prigionieri nei quattro campi doveva corrispondere esattamente, tenendo conto di chi era ammalato, in ospedale oppure nel carcere duro della prigione“.
Una prigionia durata anche un anno dopo la conclusione della guerra: “In quel periodo, utilizzando il permesso di uscire accompagnati dalle sentinelle, ho potuto fare qualche piccola passeggiata. Ho potuto visitare molti templi indiani e salire in un'escursione fino ai 5229 metri di una cima himalaiana, la più alta del Dhola Dhar. Vedere quelle bellezze ci fece sentire meno pesante il periodo della prigionia”.
Nella sua “seconda vita”, Felice Manzinello ha insegnato poi nelle scuole di Trento (per ultime, le Verdi di via Tomaso Gar), dove ha lasciato in tanti scolari il ricordo di un educatore dolce, mite, creativo. Si era fatto promotore di un rapporto di gemellaggio con i figli dei familiari americani alloggiati nella caserma Nato Ederle di Vicenza.
Lasciato l’insegnamento, ha potuto accompagnare tanti visitatori come apprezzata guida turistica grazie alla conoscenza delle lingue ma anche ad una curiosità storico-artistica coltivata. La passione sociale lo ha visto alla guida del Circolo ACLI e la sensibilità canora lo ha portato a fondare nel 1968 il Coro Montesel, di cui fu presidente fino al 1974.
Legge ancora volentieri Vita Trentina, di cui ricorda molto bene il fondatore don Giulio Delugan: “Una persona indimenticabile, non per l' austerità, ma per la sua cordialità e capacità di essere attento ai problemi sociali e alle persone”. Sono qualità che si ritrovano anche in questo centenario sorprendentemente arzillo che ispira fiducia nella vita e nella Provvidenza, nonostante le inevitabili ferite. Come quando, dopo aver perso già il padre a 10 anni, fu informato al ritorno dall'India che anche la madre era morta dieci giorni prima della fine della guerra: “Lo venni a sapere quando scesi dal treno a Mori: per fortuna il capostazione era un Sosi, mio compagno di scuola, e mi venne incontro dandomi la notizia con molta attenzione”. Cosa vuol dire tornare a casa dopo sei anni?
“Feci molta fatica a riambientarmi. Era cambiato tutto in Italia con la guerra e non riconoscevo più la mia città. Però finalmente tornavo a gustare la mia città, dopo cinque anni passati fra i reticolati”. Il maestro chiude così l’album dei suoi disegni, pronto a riaprilo per i nipoti, m entre augura ai nostri lettori un Felice Natale.
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