A Trento lo scrittore Gilles Paris che rilancia i temi dell'accoglienza a partire dal suo libro e dal film di animazione candidato all'Oscar
somm2: “La famiglia è anche quella che si inventa o si compone con gli amici o affetti indipendenti dal legame di sangue”
"Ricordo una fotografia di quando ero bambino, in spiaggia con i miei genitori: mi tenevano per mano, ma loro non si vedono". Un'immagine gioiosa, e al tempo stesso simbolica – il bambino "accompagnato", poi dovrà crescere e diventare autonomo e indipendente – quella portata dallo scrittore parigino Gilles Paris, autore de "La mia vita da Zucchina” (Ed. Piemme 2016) da cui è stato poi tratto l'omonimo film d'animazione, candidato all'Oscar, nel confronto con ragazzi e ragazze che vivono in comunità di accoglienza e operatori del settore. L'incontro, promosso da Agevolando Trentino, Associazione Auto Mutuo Aiuto Trento, Coop. Progetto 92, CNCA Trentino Alto Adige, Università degli Studi di Trento, Ordine degli Assistenti Sociali del Trentino Alto Adige, si è svolto martedì 14 novembre nella Biblioteca comunale di Trento.
Libro e film raccontano la storia di un gruppo di bambini che crescono in una casa-famiglia in Francia, il loro dolore ma anche i loro sogni e la capacità di ricominciare, e la giornata di riflessione, iniziata nell'Aula Kessler del Dipartimento di sociologia e ricerca sociale dell'Università di Trento incontrando operatori e studenti, conclusa in serata con la visione del film al Cinema Astra, ha posto l'attenzione sul delicato tema della vita in comunità e in affido avvalendosi del linguaggio della letteratura e del cinema.
"Il paradosso più grande – ha spiegato lo scrittore – è che Icar, soprannominato Zucchina, approda alla casa-famiglia in seguito alla morte della madre alcolizzata e proprio questo evento rappresenta la sua chance: lì può scoprire l'amore, l'amicizia, la benevolenza degli adulti che non aveva mai conosciuto prima e alla fine verrà adottato, conquistando una possibilità di riscatto".
Di fronte alle difficoltà i bambini sono resilienti, hanno la capacità di reagire e superarle e soprattutto domandano, cercano di capire. "Dovremmo imparare da loro a mantenere uno sguardo non giudicante sull'altro. Per un anno e mezzo ho frequentato una casa-famiglia: i bambini parlano degli abusi subiti con pudore ma in modo diretto, con il linguaggio degli adulti, evidenziando il connubio tra la franchezza infantile e la visione adulta delle cose: a 9-10 anni sono già in grado di esprimere emozioni forti come la gioia e il dolore", ha detto Paris ricordando scene del film in cui emerge la solidarietà tra i bambini, la loro commozione nel vedere una mamma che abbraccia il figlio, la paura che l'abbandono avvenga per colpa loro.
"È difficile dare una definizione di famiglia – ha commentato lo scrittore rispondendo alle numerose domande dei presenti -: non esiste la famiglia perfetta, nella mia fotografia si vedono solo le mani dei miei genitori, non si coglie tutta la realtà che è fatta anche di momenti faticosi. Essere abbandonati priva di punti di riferimento, ma la famiglia è anche quella che si inventa o si compone con gli amici o affetti indipendenti dal legame di sangue".
I bambini mostrano inoltre che accogliere la propria fragilità non preclude l'espressione delle proprie capacità, mentre gli adulti vogliono nasconderla, rendendo così più difficile la possibilità di una comunicazione autentica. "La madre lo picchiava, ma Icar è fiero del soprannome che gli ha dato: Zucchina indica la sua identità e il legame con lei e lo vuole conservare anche dentro la casa, senza questo nome non avrebbe potuto avere questa nuova vita".
Nel corso dell'incontro sono intervenute alcune giovani donne parlando della loro esperienza in casa-famiglia e al Villaggio dei bambini SOS, trovando nel gruppo-appartamento, negli educatori e negli assistenti sociali l'affetto e l'ascolto necessario per vivere la quotidianità, proseguire gli studi e capire quale strada intraprendere una volta terminato il percorso. L'incontro si è concluso con la visione di un video dedicato alle attività di Agevolando, associazione fondata da giovani che hanno trascorso parte della loro infanzia e della loro adolescenza "fuori famiglia" il cui scopo è quello di "limitare i danni che possono derivare dall’assenza di supporto sociale per tutti quei ragazzi/e che, una volta divenuti maggiorenni, si trovano a dover fare i conti con la conclusione del loro percorso residenziale in comunità e/o in affido familiare privi o carenti di risorse personali e sociali necessarie per raggiungere un sufficiente grado di autonomia dal punto di vista abitativo, lavorativo e relazionale".
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