Giochi di potere nel Golfo persico

Ribaltamenti di alleanze, nuove strategie politiche, tensioni con l’Iran, sullo sfondo l’Egitto…

Terminata la guerra territoriale contro l’Isis – salvo sporadici focolai di resistenti incauti e disperati – si ridisegna lo scacchiere mediorientale. La conquista prima di Mosul e poi di Raqqa sembrano avere posto definitivamente termine a quello che molto impropriamente è stato considerato lo “stato islamico”, roccaforte del fondamentalismo islamico più estremo e bellicoso. Alcuni osservatori ora mettono in guardia sul fatto che la dispersione dei soldati islamici e la fuoriuscita da quei territori persi possa provocare o meno uno stato d’allarme nelle capitali dei paesi europei e occidentali in genere per l’infittirsi di una presenza di “lupi solitari” in grado di colpire alla cieca tra la folla come è, purtroppo, spesso capitato.

In Medio Oriente nel frattempo riprende posizione un protagonista che in questi anni è rimasto piuttosto quieto, dietro le quinte, semmai impegnato a finanziare Isis; a risolvere non sopite insorgenze interne sia di carattere economico per l’egemonia del Golfo sia per situazioni di carattere culturale e di costume con una fortissima ascendenza nell’opinione pubblica ormai protesa verso “costumi” e modi di vivere tipicamente occidentali e al contempo frenata da una legislazione palesemente antiquata e refrattaria ad ogni tipo di cambiamento.

E’ l’Arabia Saudita che riprende voce in capitolo e a farlo è precisamente l’uomo forte di Riad, Mohammad bin Salman, astro nascente della monarchia già consolidato negli equilibri interni come la persona capace di guardare al domani, di interpretare tradizione e innovazione, osservanza dei dettami coranici e istanza di una visione laica, per quanto possibile, all’interno di una rigidità religiosa da osservare. Il fatto che Salman abbia convocato un’assise di studiosi e religiosi provenienti un po’ da tutto il mondo della Mezzaluna per riequilibrare la dottrina islamica a favore delle tesi più moderate e dialogiche con il mondo occidentale, confutando invece le tesi più estremiste che hanno favorito di fatto l’estendersi del fondamentalismo, la dice lunga su quali siano le reali intenzione del Re saudita. E qui gli ulema giocano un ruolo fondamentale, accreditarsene il consenso diventa parte della strategia, il mondo sunnita essendo tradizionalmente “orizzontale”, senza clero.

Si rivelano senza ombra di dubbio complicati i “giuochi” di alleanze mediorientali, il loro instaurarsi, mantenersi e disfarsi. E’ chiaro, ad esempio che in questo momento, per l’Arabia Saudita è fondamentale l’alleanza con l’Egitto del generale Al Sisi. Alleanza che si rivela indispensabile per contrastare il movimento dei Fratelli musulmani che a dispetto di tutto vedono crescere le loro adesioni soprattutto nelle periferie urbane dove aumenta in modo esponenziale la disperazione dettata dalla mancanza di prospettive di amplissimi strati giovanili che nel loro messaggio vedono una possibilità di riscatto. La Fratellanza è capace, fra l’altro, di erogare un minimo di welfare in periferie abbandonate e derelitte (un po’ quel che capita nella dimentica e reietta Striscia di Gaza dove sono stipate come sardine migliaia di persone “maledette” e dimenticate da tutti e in qualche modo soccorse solo dal movimento di Hamas).

Il nuovo corso dell’Arabia Saudita mostra un’evidente rivalsa anche nei confronti dell’Iran sciita e così viene ripristinata quasi automaticamente la storica rivalità tra Riad e Teheran. L’Arabia Saudita si colloca così, accanto a Israele e Stati Uniti, in una serrata lotta contro lo Stato-canaglia che con l’arrivo di Trump alla Casa Bianca, giusto un anno fa, ha di nuovo vestito i panni del Nemico da annientare (o comunque da bloccare nella proliferazione nucleare, consentita invece entro certi limiti dalla “dottrina Obama”).

Come si può notare, un groviglio di interessi che si smontano e si ricompongono, un continuo cambio di alleanze e di strategie politiche e militari. Tutto per avere un ruolo di dominio in Medio Oriente.

Israele – convitato di pietra – non sta certo a guardare e rafforza il suo arsenale militare industriale insieme alla conferma della “politica del carciofo” nei confronti dei palestinesi (un nuovo insediamento qua, un rafforzamento dei coloni là). A cinquant’anni dalla guerra dei Sei giorni del 1967 – repentina, brusca, vincente in brevissimo tempo per l’esercito con la stella di David – siamo giunti a una guerra di bassa intensità fatta di sospetti, passi felpati, alleanze strategiche che non vanno certamente nel senso della pace e della stabilità politica, fautrice di vero sviluppo.

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina