“I religiosi non sono un mondo separato: è venuta l'ora della fine degli spazi chiusi”
Tra le voci che contribuiscono alla riflessione sulla realtà della vita consacrata c'è un religioso di origine vicentina già in servizio nella nostra diocesi, prima al Centro diocesano Caritas (Comunità Murialdo) e poi come vicario episcopale: padre Rino Cozza della congregazione dei Giuseppini del Murialdo. Fresco di stampa il suo ultimo libro, come i precedenti per i tipi delle edizioni Dehoniane, dal titolo “Nessun carisma basta da solo”.
Dopo sei testi sulla vita religiosa, qual è la novità? “Vuole essere una risposta ad un'esigenza attuale introdotta dallo stesso papa Francesco con l'invito alla Chiesa in uscita – spiega a Vita Trentina –. Oggi è venuto il momento della fine degli spazi chiusi che era un po' la caratteristica della vita consacrata fino al Concilio. Ai religiosi si prospettava una “fuga mundi”, un essere “altro” rispetto al mondo. Oggi ci siamo resi conto che lo spazio religioso non è “separato”, al punto che si è costituita l'Associazione membri delle Case generalizie per avviare un discorso intercongregazionale. Si è soliti pensare che i carismi (in senso stretto) siano monopolio dei religiosi/e, ma il papa ci ricorda che “non sono un patrimonio chiuso consegnato ad un gruppo, perché i doni dello Spirito sono consegnati a tutti i cristiani” (EG 130)”.
“Non possiamo dimenticare che la vita religiosa è nata laica” continua padre Rino che, dal canto suo, propone un nuovo modello che passi da un sistema monastico-clericale ad un sistema sul versante della laicità.
Quale ruolo allora per i contemplativi/e (che in termini di numeri sembrano talvolta “soffrire” meno rispetto ai religiosi di vita attiva)? “Già Paolo VI parlava di ‘oasi nel deserto’ – risponde padre Cozza -: i carismi di vita contemplativa sono oasi, ma il cristianesimo non è solo deserto! Cristo stesso non si è fatto monaco a Qumram”.
La proposta di padre Cozza per i religiosi oggi è quella di un “cantiere aperto” che non si accontenti di gestire il “già”, ma il possibile del “non ancora”.
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