Il valore esistenziale della visita ai cimiteri, dove si ritrovano, spesso ignorate, presenze di un passato ancora eloquente
Nei giorni mesti di fine ottobre i maestri d'un tempo – senza bisogno di chieder permesso ai genitori – accompagnavano le loro classi in una visita al cimitero. Oggi non lo fanno più nemmeno tanti gruppi di catechesi, a conferma di quella rimozione socioculturale del problema-morte talvolta “giustificata” in modo sbrigativo: “I morti lasciamoli in pace”.
In verità, c'è chi oggi punta a recuperare – anche in un'ottica laica – il valore esistenziale di una visita ai cimiteri. Non solo per il gusto estetico o la curiosità storica di scoprire percorsi artistici perseguiti con maestria da alcuni architetti che nell'Ottocento dedicavano ai grandi cimiteri perfino delle segnalazioni sulle guide turistiche.
Dovrebbe permanere una dimensione sociale, legata ad un passato comune e alla “comune umanità”, che rende arricchente una sosta riflessiva fra le tombe. Il raccoglimento personale – e, per chi crede in Dio, la preghiera per Ognissanti, non solo per i defunti di famiglia – consente di cogliere anche il messaggio che arriva dalla “citta dei morti”, memoria di una città dei vivi, dimenticata in fretta. Pensiamo alle lapidi comuni per i caduti in guerra – classi di coscritti che han visto solo la giovinezza a causa dell'”inutile strage” – oppure alle mamme morte di parto, ai soccorritori periti in un gesto d'altruismo, ai tanti bambini volati in cielo.
Senza fermarci sulle tombe (in passato purtroppo anche segno di distinzione sociale), guardiamo con attenzione quest'anno le fotografie, ingiallite dal tempo o “sgranate” per difetti tecnici. Sono visi che talvolta parlano di anni difficili (c'era anche il il terrore di mettersi in posa davanti al fotografo, altro che selfie!), ma anche sguardi fieri accanto alla propria dolce metà, o sorrisi generosi, guance colorate di mitezza o baffoni presagio di operosità. Se la foto del necrologio talvolta è ritrovata all'ultimo momento (meglio non pensarci prima – dicono in molti – porta sfortuna e fa pensare alla morte), quella della lapide esprime anche il ricordo visivo con cui si presenta agli altri il proprio caro: un profilo di montagna dietro, una finestra, l'orto. Nella frase evangelica o nelle scritta può esserci anche un riferimento alle cause di una morte o alle motivazioni di una vita… Non è inutile per ogni visitatore del cimitero passare in rassegna questo strano album di fotografie condiviso dalle nostre comunità: lo chiamiamo ancora campo santo – non solo perchè è uno spazio consacrato, che viene ancora benedetto (a parte il rispetto per le zone adibite ad altre religioni) – ma anche perchè i nostri santi anonimi, cristiani del quotidiano ci salutano e c'interrogano da quelle fotografie.
“Con gli studenti del liceo Prati lo scorso anno abbiamo progettato anche un percorso didattico dentro il cimitero per gli scolari”, esemplifica a proposito Carmelo Passalacqua, dirigente dei Servizi Funerari del Comune di Trento, a conferma che “lo sforzo culturale per non rimuovere la morte e i suoi segni deve passare anche da un'attenzione nuova al valore del cimitero”. E lo stesso Passalacqua, che si è inventato un affollato cineforum sul tema, sta ipotizzando anche una modalità per evidenziare dentro il cimitero le urne cinerarie: perchè anche chi ha scelto la cremazione possa avere una lapide con una foto dalla quale sorridere ai propri cari.
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