In vista della celebrazione di domenica 8 ottobre per il decennale della beatificazione di Antonio Rosmini, abbiamo intervistato il superiore generale padre Vito Nardin.
In questi dieci anni dopo la beatificazione si è avvicinata ancora di più al “sacerdote roveretano”?
Il numero di coloro che hanno grande stima di Rosmini è in aumento. Ben venga una conoscenza maggiore dei suoi scritti, con i benefici effetti che se ne possono sperare. A Domodossola, a Stresa e a Rovereto ci sono segnali di devozione, riconducibili alla venerazione per la sua testimonianza di sacerdote santo. Si tratta di un tipo di devozione più interiore che esteriore, simile a quella verso santi come Agostino e Tommaso d’Aquino. Gli insegnamenti e gli esempi vissuti nel ministero pastorale a Rovereto erano doni speciali di Dio, e dunque sono destinati a portare molto frutto anche oggi.
Cosa auspicate, voi rosminiani, a proposito affinché la testimonianza di Rosmini possa dare frutti ai tempi della “Chiesa in uscita”?
Grazie alla lungimiranza di Rosmini e allo slancio missionario dei primi religiosi l’Istituto era “in uscita” ancor prima di essere approvato. Il grande desiderio del nostro piccolo Istituto è che possano svilupparsi le opere attuali nelle tre forme della carità – corporale, intellettuale, spirituale – indicate dal nostro fondatore: centri sanitari; scuole e centri culturali; parrocchie e centri di spiritualità. I frutti potranno essere di più se aumenteranno le vocazioni. Provvidenzialmente Rosmini ha inserito nella Famiglia rosminiana anche i laici, i sacerdoti diocesani, e i vescovi, con il nome di Ascritti.
Dieci anni fa, Novara, il rappresentante del Papa defini Rosmini, “il più grande genio speculativo del 1800”, come “il dottore della Provvidenza”. Come spieghereste questo appellativo?
Una conferma di questo viene dal poeta rosminiano padre Clemente Rebora che scriveva nella sua stanzetta: “Lo Spirito Santo, Divino Stratega, ha tenuto in serbo il suo inutile servo Rosmini per immetterlo al momento opportuno, quando si farà sentire con maggiore acutezza (oggi si direbbe angoscia) il bisogno di una sicura e fedele e orientante voce attuale della dottrina della Chiesa nel mistero di Cristo: della dottrina, e della sua incomparabile ragionevolezza vittoriosa, davanti a tutte le crescenti esigenze e attuazioni umane” (Clemente Rebora. Rosmini, Longo editore, Rovereto, pag. 210).
“Da oggi in poi – disse nel suo saluto mons. Corti – Rosmini ci sospinge sulla frontiera di una Chiesa capace di farsi carico die problemi dell’uomo in tutte le sue dimensioni”. Si è sentita in questi dieci anni questa spinta?
Tra i problemi maggiori emerge la difficoltà della formazione della coscienza retta. Dall’esperienza personale di Rosmini viene un esempio luminoso. Più che “le vostre concordi dimostrazioni di benevolenza, facendo intervenire anche l’autorità del vescovo”, ciò che lo indusse ad accettare il ministero parrocchiale a Rovereto, sospendendo di fatto gli studi e mettendo a rischio gli inizi dell’Istituto, fu la sua coscienza. “Non ho creduto di essere più libero a scegliere, tostochè vidi tal necessità morale starmi dinanzi , che ritirandomi offendessi Dio”. (Discorsi parrocchiali, Città Nuova, pag. 46).
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