Il saggista Giorgio Paolucci descrive il fallimento di assimilazionismo e multiculturalismo. Ecco una “via italiana”
Parte dalla convivenza fra culture diverse anche il nono anno della Scuola diocesana di formazione politica, che vuol rispondere – lo ha affermato in apertura giovedì scorso il vescovo Lauro – all'impegno di “assumerci le nostre responsabilità di cristiani, senza rimanere passivi alla finestra”. E in un prossimo anno dal duplice appuntamento, come ha sottolineato il delegato don Rodolfo Pizzolli, la Politica con la P maiuscola di Papa Francesco richiede strumenti di analisi che sappiano partire dai dati e concretizzarsi in strategie chiare.
Ne ha dato prova esemplare l'ex vicedirettore di Avvenire Giorgio Paolucci, inquadrando la problematica delle migrazioni in un approccio storico (“un fenomeno sempre in evoluzione”) e dalle molteplici cause, sviscerando il fallimento dei due principali approcci: l'assimilazionismo (vedi Francia) che rischia di cancellare ogni identità con la “sindrome del divieto” (il “caso del velo”) e dall'altra il multiculturalismo (vedi Inghilterra e Olanda) che in nome di un esteso relativismo rischia di creare ghetti autoreferenziali e chiusi al dialogo.
Una via italiana, legata alla peculiarità della nostra immigrazione che è molto composita (196 Paesi diversi), è quella che Paolucci definisce “modello dell'identità arricchita”. Il popolo italiano, a partire dalla consapevolezza della propria storia, si pone in relazione accogliente con ogni nuovo arrivato (“l'altro mi è necessario per crescere”), puntando su un dialogo aperto che possa rafforzare anche l'altrui identità. In quest'accezione l'identità non è una spada da brandire o una corazza con cui proteggersi ma una realtà dinamica, in arricchimento continuo. Proprio ora che le migrazioni in Italia rappresentano un fenomeno maturo, non transitorio, aumenta il peso delle seconde generazioni e il consolidamento delle condizioni giuridiche stabili, è pronta la prospettiva di una feconda multietnicità. A partire da dati reali e non da percezioni distorte (si pensa che gli stranieri siano il 30%, invece non sono ancora il 10; che i mussulmani siano il 20%, in verità sono sotto il 4%) , riconoscendo come la scuola e il lavoro possono essere laboratori naturali di convivenza. E tanti esempi di relazioni fra i nostri nonni accompagnati da amici venuti dall'Est confermano una ricchezza relazionale che è molto di più di un modello: un'esperienza di ricchezza personale.
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