“C’è il rischio concreto che diventi più importante precisare in cosa si deve credere, piuttosto che vivere le cose credute”
La piccola comunità di Zoreri in Vallarsa, che si riunisce con gioia attorno al Vangelo. Il coro femminile di Casatta, frazione di Valfloriana, sempre presente. I fedeli di Sant'Agnese di Civezzano che “si fermano” prima e dopo la Messa. Ha cercato tre esempi di periferia, rappresentativi di molti altri, l'Arcivescovo Lauro sabato scorso per concretizzare l'idea di una Chiesa trentina “non è al tramonto” ma vive sul territorio l'attesa di “un'alba nuova”. Che non cerca di “far passare delle idee”, ma di “vivere nella storia la gioia del Vangelo”.
“Dobbiamo saper vedere “il rigoglio del regno di Dio che viene avanti, la foresta, il ceppo ribaltato, che produce nuove foglie”, ha aggiunto a braccio arricchendo il testo scritto in cui, da appassionato del bosco, aveva suggerito un'aneddoto forestale del gesuita belga Foisson.
La relazione di mons. Tisi al titolo “Custodi di un Dio mite” è stata il nerbo dell’assemblea pastorale diocesana (vi hanno partecipato quasi 700 persone, a dare il la alla preghiera il coro decanale dei giovanile roveretani rientrati dalla Locride), ma diventerà anche il testo-guida per le comunità locale in quest’anno pastorale (Vita Trentina ne offre la pubblicazione integrale a pag. 3), come ha suggerito la coordinatrice dei laici Cecilia Niccolini nella sintesi finale: ““Non si tratta più – ha osservato – di offrire piani pastorali con domande e di risposte, ma di puntare a ritrovare uno stile operativo da portare avanti, tutti insieme, nelle nostre comunità”.
Lo stesso dibattito, con una decina d’interventi al microfono, aveva registrato una sintonia. Poche lamentazioni o rivendicazione di parte, volontà di camminare insieme e far emergere quei “segni dei tempi” dentro la Chiesa, indicati da don Piero Rattin nell’intervento che – opportunamente completato – costituisce l’editoriale di questo numero. Don Remo Vanzetta – in sintonia con altri due interventi mirati alla forza del testimonianza – ha invitato alla narrazione dei motivi personali che hanno ridato slancio alla fede o hanno “cambiato la vita” grazie a quanto “lo Spirito ci ha suggerito”. L’opportunità di andarli a cercare o di condividerli è stata raccolta da uno degli ascoltatori che ha seguito la lunga diretta mattutina sull’emittente diocesana Trentino inBlu: qui sotto trovate la sua lettera con la sua entusiasmante esperienza di servizio.
Raccogliendo e valorizzando alcune domande della sala (come annunciare il kerigma? come tradurre queste indicazioni in un progetto pastorale?), l’Arcivescovo ha ribadito l’esigenza di alleggerire le nostre strutture ecclesiale e i nostri schemi teorici. “Non dobbiamo nasconderci – ha poi ammesso l’Arcivescovo – che la preoccupazione dottrinale ha finito per affermarsi, nella storia cristiana, come l’atto di base della vita ecclesiale. C’è il rischio concreto che diventi più importante precisare in cosa si deve credere, piuttosto che vivere le cose credute”. E ha concluso: “Se le ‘parole’ della fede non sono praticate, non giovano a nulla”.
Senza cedere al pessimismo – ma neanche ad un ottimismo di maniera – anche il vicario generale è andato a cercare le “belle notizie” che sul territorio vedono cambiare anche la “mobilità ecclesiale” (pulmini che collegano un paese all'altro negli incontri serali) e riescono a coinvolgere anche i giovani. Gli stessi “bollettini parrocchiali” – come risulta da una recente ricerca dell'Ufficio comunicazioni sociali – sono attesi per questa capacità di dare conto della prossimità dentro il territorio.
Con la solerzia dei “social network” che ti sanno scovare quando non ti fari vedere da troppo tempo, il vicario invitava a farsi attenti agli altri, ai bisogni della comunità e del territorio. Con l’umiltà di Francesco ma anche con la convinzione di chi non prova diffidenza verso la Terra Promessa.
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