Un folto gruppo di amici si è stretto domenica scorsa intorno a Giovanni Dalpiaz, monaco camaldolese, priore dell'Eremo San Giorgio di Bardolino per festeggiare i suoi settant'anni, portando in dono un
La prefazione di Alessandro Barban, priore generale della Congregazione Camaldolese, rileva come Dalpiaz nelle sue analisi interpreti senza sconti la realtà della Chiesa o quella degli ordini religiosi in un contesto di secolarizzazione compiuta evidenziando il trend negativo delle vocazioni o le ricadute della globalizzazione senza tentare giustificazioni teologiche o spirituali improprie. Di Gianni Dalpiaz monaco parlano altri suoi confratelli, Lorenzo Saraceno nella nota redazionale e Alessandro Castegnaro e Guido Innocenzo Gargano nell'introduzione. Gargano scrive che uno dei capolavori di Dalpiaz è stato quello della chiusura silenziosa e indolore dell'eremo di Napoli, dove la camorra la faceva da padrona, non risparmiandosi neppure minacce a mano armata nei confronti di qualche confratello anziano. “Avrebbe meritato un monumento – osserva – solo per queste sue capacità”.
Molti inediti sono citati nel volume che sollecita la riflessione per tutti coloro che si occupano di catechesi o di pastorale vocazionale. In un dialogo con Pier Luigi Nava presentato come postfazione sulla vita religiosa in Italia dal 1977 al 2017 Gianni Dalpiaz osserva che non si vive più nell’utopia del “piccolo è bello” tipico dell’immediato post-Concilio. Piuttosto il piccolo è qui la cifra di un futuro nel quale le diverse fisionomie della vita consacrata dovranno convivere con la “minorità” della loro presenza in quanto non vi sono per ora segni che facciano intravedere la fine del lungo inverno della secolarizzazione. L’autore commenta che il rapporto dei giovani con Dio è sempre più pensato in “presa diretta” nella soggettività della propria coscienza senza necessità/opportunità di mediazioni ecclesiali. “Di conseguenza viene meno, e lo si nota molto tra i giovani, il senso dei sacramenti quali realtà di mediazione della grazia”. “La vita personale resta quindi “decentrata” rispetto alla Chiesa, ma non a essa del tutto estranea”. “Ci si dice cattolici – commenta ancora Dalpiaz – molto di più di quanto poi si pratichi una coerente appartenenza ecclesiale”. “In altre parole nella situazione attuale, il legame con la Chiesa, e più in generale con l’esperienza cristiana, non è troncato di netto, piuttosto è messo sotto traccia: in alcuni momenti della vita emerge, in altri si fa di fatto in visibile”.
Lascia una recensione