Una testimonianza commuovente – non sdolcinata ma dura, profonda, tragica, carica di speranza – quella di padre Ibrahim Alsabagh a Trento lunedì 4 settembre sera alla residenza universitaria Nest davanti a più di 400 persone. Una folla inaspettata, giovani e giovanissimi, un “popolo” vivo, palpitante, attento (durante un’ora e mezzo non è volata una mosca) nella conduzione precisa della bravissima giornalista Rai Linda Stroppa. L’appuntamento ha aperto l’Happening 2017, la festa promossa dall’associazione culturale “Nitida Stella” e dalla cooperativa universitaria “Il Faggio” (vedi a pag. 16).
Frate francescano della Custodia di Terra Santa, parroco della chiesa di San Francesco d’Assisi ad Aleppo, in Siria, padre Ibrahim – 46 anni – è rientrato 3 anni fa in una città sconvolta dalla guerra e dai bombardamenti.
Dal dicembre scorso le armi tacciono ad Aleppo – non si sa bene se in una tregua precaria o in una risoluzione pacifica che ha le sembianze di una certa stabilità. E’ forse finita la guerra, quella per bande, tra fazioni ribelli, esercito regolare siriano e bande affiliate a Isis, quando il 22 dicembre 2016, alla vigilia di Natale, le campane hanno suonato a distesa ad Aleppo, almeno nei quartieri che sono rimasti in piedi e non rasi al suolo. Ma non è finita un’emergenza che pare non avere fine perché troppi lutti, devastazioni e ferite lascia sempre un conflitto: nella desolazione del paesaggio (interi quartieri distrutti) e nel cuore di ogni singola persona; ferite che richiedono molto tempo per essere lenite, sanate e guarite. Una guerra condotta per le avidità di un dittatore e per il controllo del Medio Oriente da parte di potenze “esterne” contrapposte.
“Abbiamo potuto festeggiare il Natale alla grande. I missili non cadevano più sulle nostre teste – ha detto il frate francescano – e già si sentivano rumori diversi, quelli della gente che cominciava a riprendere le proprie strade, i propri cortili ingombri dalle macerie. Un rumore diverso dalle bombe, quei sordi boati di morte, i sibili striduli che ne annunciavano l’imminente devastante sopraggiungere. L’acqua è tornata a scorrere per poco tempo nei rubinetti, acqua non potabile però, gli acquedotti essendo stati inquinati e questo ha provocato tante infezioni intestinali, con febbre alta”. L’elettricità viene erogata per un paio d’ore di notte e allora durante la notte sono le mamme che fanno festa e si alzano e tirano fuori il ferro da stiro e fanno partire qualche lavatrice…la vita che ricomincia ostinata, dolente.
Il racconto di padre Ibrahim è pacato, a tratti poetico; è una persona dolce, si vede che è un frate felice della sua vocazione, contento di quello che fa per la sua gente (è nato a Damasco), appagato ma non seduto. Quando gli capita di visitare Aleppo, almeno qualche quartiere, se ne torna a casa con il cuore carico di tristezza; ed è come se chiedesse al Signore: perché tutta questa distruzione? E come Giobbe: Perché a pagare sono sempre i più piccoli, i più deboli, gli innocenti?
Aleppo è oggi una città distrutta – ovunque i segni della distruzione e della sofferenza, le macerie sono in ogni angolo – e paralizzata perché manca il lavoro e chi ne trova uno, precario, riesce a mettere assieme quei 40-60 dollari al mese quando ne servirebbero almeno il triplo per i bisogni delle famiglie. E’ qui che la Chiesa fa sentire la sua voce, nel servire, offrendo aiuti concreti e un soccorso spirituale, necessario come il pane. Tanti giovani scappano ancora perché hanno paura di essere arruolati a forza nell’esercito di Assad. Rimangono le ragazze, le giovani donne, numerose rispetto ai pochi maschi in un rapporto di 12 a 1. Rimangono i bambini (“si cerca di coprire i loro occhi perché non vedano tanta devastazione e tanta sofferenza”), restano gli anziani – e dove potrebbero andare? – e tanti di loro muoiono soli, abbandonati. “Questa estate è stata molto calda anche qui da voi – ha ricordato padre Ibrahim -, provate a immaginare ad Aleppo dove non funzionano i condizionatori e i vecchi rimangono inchiodati a un letto o su una sedia a rotelle… tante persone venivano da noi al mattino e ci dicevano che non avevano potuto dormire in pace per il caldo insopportabile”.
Si vorrebbe tornare alla normalità, sono sparite le ombre dei missili e delle bombe, ma rimangono i traumi, le ferite del cuore, e ci vuole molto più tempo per rimarginarle. “Noi cerchiamo di fornire pacchi alimentari alle famiglie, cristiane e musulmane”. Però mancano la verdura e la frutta e questo si fa sentire nella dieta alimentare, con anemie e carenze specie per chi deve crescere, i bambini. La comunità cristiana condivide con gli altri l’acqua potabile ricavata dai pozzi dei francescani. Condividere, non è questo il messaggio del vangelo? “Abbiamo molti casi di cataratte, malattie agli occhi, alle articolazioni. I casi di cancro sono in aumento!”. Ma ci sono anche medici che non hanno abbandonato la Siria, sono rimasti per curare la gente: “portano la Croce insieme alla loro popolazione”.
E’ un messaggio sorprendente quello del seguace di Francesco. Un messaggio di fede autentica, di speranza viva. “Faccio quello che posso, ma non sono io che faccio, che agisce è il Signore che non abbandona le sue creature.” Esorta tutti noi ad avere fiducia in quel chicco di grano che muore per portare frutti che sono guarigione e vita, e vita in abbondanza. Le tantissime persone presenti sono attente, commosse. Le nuove sfide non riguardano solo Aleppo, il suo futuro, la sua lenta rinascita. Le sfide della vita cristiana riguardano tutti coloro che vogliono essere seguaci del figlio del falegname di Nazareth. E padre Ibrahim invita tutti a sapere vivere in pienezza le cose veramente importanti, a saper distinguere quello che vale davvero, a non perdersi in cose che lasciano solo vuoto interiore, infelicità. In un’altra ottica rispetto alla vita mondana tutta basata sull’apparire e non sull’essere se stessi. Sta tutto qui il senso di un cristianesimo che sa dire parole significative alla donna e all’uomo di oggi. Perché – conclude padre Ibrahim – siamo un po’ tutti come la Samaritana, assetati di vita vera e di parole di verità; come Nicodemo che cerca parole di salvezza, disposto a rinascere.
Aleppo è anche qui nell’anonimato e nella solitudine di chi non sa vedere i bisogni del prossimo ferito dalle vicende alterne e spesso avverse della vita che è fatica per tutti, ma per tanti è fatica pesante e a tratti può sembrare insopportabile; ma basta trovare qualcuno che ti tende la mano, un aiuto. Questo il messaggio e l’attualità di Aleppo anche per noi.
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