“A Nablus convivono 20mila cristiani con mille ebrei samaritani, ci sono otto chiese e non ci sono problemi di convivenza”
Amin ha uno sguardo dolce, il tono pacato; è riflessivo il suo parlare, pronuncia le frasi lentamente come meditandone il significato. E’ in Italia dal 1968, quando vi arrivò per frequentare l’Università di Padova, Facoltà di Ingegneria. Aveva 18 anni, l’età in cui si apre la vita con le sue possibilità.
Sono trascorsi tanti anni, Amin si è sposato con una donna trentina che gli ha dato due bellissime figlie. La moglie, docente di diritto ed economia alle scuole superiori, un brutto male se l’è portata via ormai alcuni anni fa, ma continua a vivere nel bel volto sereno e speranzoso delle sue figlie, ormai grandi e in giro per il mondo per lavoro o per studio. Quando accenna brevemente all’amatissima compagna, mancata prematuramente, sul viso di Amin scende un velo di malinconia, guarda lontano, ma pensando alle ragazze rinasce un certo orgoglio paterno: sono loro il futuro, serve guardare in avanti.
Sono passati tanti anni e quest’uomo non ha mai smesso di sentirsi palestinese. Viene da Nablus, Cisgiordania, nella Samaria dove si trova il Pozzo di Giacobbe, il posto dove Gesù incontrò la donna samaritana (Gv 4,23).
Una famiglia benestante, la sua, con buone possibilità economiche e dunque i suoi avevano pensato di mandarlo a studiare in Italia, per poi ritornare in Palestina e lavorare anche al servizio della sua gente. Poi le cose sono andate diversamente dai progetti iniziali. Avendo incontrato la donna della sua vita si è fermato in Trentino, ma per lui le cose non sono cambiate nei valori e negli impegni che davvero contano, l’impegno per il suo popolo maltrattato e oppresso, il fatto di mantenere un contatto costante e duraturo con le persone conosciute, ma sempre nel segno del tentativo di migliorare le condizioni economiche e sociali in una situazione che in tutti questi anni si è trascinata tra illusioni di una pacificazione vera, fondata sulla giustizia e le tante, troppe disillusioni e delusioni successive quando sembrava che tutto dovesse ricominciare da zero.
Quello palestinese e quello mediorientale in genere –ribadisce Amin – non è un conflitto religioso. “A Nablus, cittadina di 150mila abitanti, nel mezzo di due montagne bibliche, convivono 20mila cristiani con mille ebrei samaritani, ci sono otto chiese e non ci sono problemi di convivenza!”. Ci sono invece precise ragioni economiche e di predominio territoriale. La creazione e il perpetuarsi delle colonie israeliane – illegali secondo il diritto internazionale e diverse risoluzioni dell’Onu – estromettono la gente palestinese dai suoi territori, costringerla ad andarsene.
La diaspora palestinese è continua. Non è solo una questione di 70 anni fa, quando fu creato lo Stato di Israele (1948). E’ una storia che si fa cronaca anche recente. Il risultato, fra l’altro, è che ci sono 3 milioni di palestinesi in Giordania ammassati nei campi profughi.
Mentre ci racconta queste vicende, Amin disegna sul bloc-notes la cartina della Palestina e di Israele, la Cisgiordania, un territorio vasto come il Trentino, dove continua la confisca delle terre e la creazione di colonie, il deserto del Negev, giù fino alla minuscola striscia di Gaza, dove in un territorio sottile e piccolo sono ammassati come sardine più di 2 milioni di palestinesi. Disegna e snocciola cifre con maestria e sagacia, il suo non è solo ingegno, ma passione umana, coinvolgimento personale, un sentirsi parte di un progetto e di un sogno, che consiste nell’utopia che i suoi fratelli palestinesi possano trovare finalmente un presente di pace vera in condizioni dignitose di vita in uno Stato indipendente, senza doversene fuggire.
Lui se n’è andato, ma in realtà è come se non fosse mai partito. Nella sua professione di ingegnere civile, settore trasporti, non ha mai trascurato di impegnarsi nella “questione palestinese”, ne ha fatto un fulcro della sua esistenza, non ha voltato lo sguardo da un’altra parte. Per 30 anni non ha più potuto tornare a casa sua. E’ stato console della Palestina per vari anni nel Nordest, ha girato in lungo e in largo il Veneto e il Friuli e la Lombardia, ha coordinato scambi tra istituzioni e settori economici italiani del Nord-Est e palestinesi; tra l’Enaip e scuole professionali palestinesi, tra l’Anffas e il variegato mondo della disabilità della sua terra natale. Ci tiene a sottolineare come in Palestina siano operanti otto Università. Con l’Istituto di San Michele all’Adige i contatti sono stati proficui e hanno portato a significative sinergie creative di occupazione e sviluppo che anche in futuro possono portare benefici per entrambe le parti. Ha in mente, a breve, di invitare la nuova ambasciatrice palestinese, Mai Alkaila, medico, di religione cristiana; tiene contatti con il Forum per la pace trentino per la firma di un eventuale accordo di collaborazione multisettoriale (economia, turismo, cultura, università) tra la Provincia Autonoma di Trento e lo Stato palestinese.
Amin scruta l’orizzonte dei monti, rivolge un pensiero alla madre anziana, ai suoi fratelli e sorelle “dispersi” qua e là in Medio Oriente per motivi di lavoro. Ricorda la moglie: “assenza più acuta presenza”. Pensa alle figlie – la trentenne nel nome ricorda la prima Intifada, la protesta palestinese del 1988 contro l’occupazione; il nome della figlia minore richiama alla storia di un bacio e a un fiore del deserto di un intenso color viola -, al loro avvenire denso di belle possibilità. Fa la sua parte, Amin, per tenere accesa la speranza per la Palestina, terra natale amata.
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