I genitori di Charlie e l’amore che non muore

“Lo lasceremo andare con gli angeli”. Queste le parole, tra le lacrime a stento trattenute, del papà di Charlie, il piccolo bimbo londinese che è riuscito, nei suoi pochi mesi di vita, a coagulare attorno a sé l’interesse del mondo. Queste le parole che hanno riportato anche gran parte dei quotidiani all’indomani della dolorosa comunicazione. Non vorrei ripetere cose già lette. Neppure entrare in problemi tecnico-giuridici: lo fanno già altri, molto più competenti.

Vorrei, in punta di piedi, immaginare il percorso di questi giovani genitori, dall’arrivo di Charlie. Il loro primo figlio, l’attesa che porta con sé tanti sogni, la gioia della sua nascita. E, dopo qualche settimana di felice quotidianità, accorgersi che qualcosa non va. Rifare il percorso all’indietro, casa-ospedale, non immaginando sicuramente che da lì, Charlie non sarebbe più uscito, neppure per “fargli un bagno in casa – come chiedevano insistentemente ai medici – sederci sul divano con lui, dormire nel letto con lui, poterlo mettere in una culla, perché non ci ha mai dormito…”.

Una carrellata continua di mazzate su speranze sempre più deboli. È come volersi arrampicare su uno specchio. Dicono che la forza della disperazione, lo spirito di sopravvivenza, può generare cose incredibili. Non in questo caso.

C’è un momento nella vita di ogni uomo, di noi tutti, in cui ci si deve arrendere. Al di là delle ragionevolissime e arrabbiate obiezioni: “Non è giusto!” e “Perché?”. Un momento che nessuno di noi può pilotare a piacimento. Che ci piaccia o no. Possiamo tentare di posticiparlo, almeno un po’, ma comunque arriva.

Eppure i pensieri, nella mente, corrono veloci. Come si può stringere tra le braccia un delicato e fragile esserino, cullarlo, baciarlo, cantargli dolci ninne nanne, carezzarlo teneramente, sapendo che le lancette del tempo non si fermano e mangiano inesorabilmente i giorni di vita che ancora gli rimangono? Non ci sono risposte umane accettabili. Sicuramente non per una mamma e un papà. E poi: “Che senso ha tutto questo? A cosa è servito?”.

Apparentemente è solo una storia di dolore immenso. Dolore sì, ma non solo. Charlie, nel suo ‘quasi’ anno di vita (il 4 agosto è il suo compleanno), ha calamitato attorno a sé da tutto il mondo, l’amore di migliaia e migliaia di persone. Che pregano, lottano, confortano, si arrabbiano pure, ma che si sono unite per lui.

La sua vita, così breve (a meno che non accada un miracolo), è quasi l’attimo di ‘un soffio’, oserei dire di più: ‘un lampo’. Breve, intenso, luminoso. Charlie si è affacciato alla porta del mondo, ha scompigliato per bene cuore e anima di tanti, ha lasciato in Connie e Chris, i suoi genitori, questo desiderio, comunicato come un deciso proposito: “Usare i soldi raccolti perché si faccia più ricerca su queste malattie, così che un giorno altri bambini con danni da deplezione mitocondriale possano vivere un po’ più a lungo e forse anche guarire”.

Era questo il suo ‘mandato’ quando è stato spedito sul pianeta Terra? Uno ‘stratagemma’ celeste, per far ripartire cuori ‘stanchi’? Non lo sapremo mai e il Dio della Vita, così imperscrutabile nei suoi disegni, non ci facilita le cose.

Ma Charlie è un “piccolo grande guerriero”, come lo chiama la mamma, convinta lei per prima – nonostante il dolore – che “nessuna vita è vana”. Charlie non ha paura, ha seminato amore e ne ha ricevuto tanto, moltiplicato. Sarà l’amore che lo accompagnerà nel suo ritorno Lassù, tra gli angeli che lo stanno aspettando, sarà l’Amore che lo accoglierà tra le braccia per dargli le coccole e i baci che non potrà più ricevere da mamma e papà, fino a quando non si rincontreranno. Sarà ancora l’amore che continuerà a donare a tutti noi, con le sue mani piccine dalla finestra del Cielo.

Ciao, angioletto Charlie! Solo Lassù, capiremo il ‘nonsense’ di questa tua breve vita. Un ‘lampo’ di vita, pieno d’Amore.d

Chiara M.

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