Il caso volle che il primo a sedersi fosse il trentino Alberto Franceschini. Relatore Franco Ferrarotti, gran accademico, uno dei precursori della sociologia italiana
Le cronache dell’epoca raccontano che quella mattina su Trento si era scatenato un gran temporale. Proprio mentre dentro l’aula magna dell’Istituto superiore di scienze sociali di via Verdi venivano discusse le prime lauree in Sociologia, facoltà all’esordio in campo nazionale. E il caso, o non si sa che altro, volle che il primo a sedersi fosse il trentino Alberto Franceschini (niente a che vedere con l’omonimo fondatore delle Br insieme a Renato Curcio, che peraltro nell’ateneo si sarebbe laureato successivamente). Prese 108 su 110 con una tesi di quelle toste, almeno a leggerne il titolo: “Elementi per una teoria dell’imprendività nel pensiero di Saint-Simon”. Relatore Franco Ferrarotti, gran accademico, uno dei precursori della sociologia italiana, già alla corte di Adriano Olivetti nonché parlamentare. Era il 22 luglio 1967, cinquant’anni fa, è passata un’era geologica.
Poche settimane prima, dopo un travagliato iter parlamentare, la facoltà di sociologia era stata riconosciuta ufficialmente e legalmente grazie alla promulgazione della legge istitutiva, la numero 1099, firmata dal Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat.
Quella mattina furono in dieci a laurearsi, di cui la metà erano regionali. Oltre a Franceschini, Tiziana Merci di Bolzano, Saverio Ferretti di Egna, Chiara Tomasi di Levico e Rosalba Casetti di Fai. Occupazioni ce n’erano già state, per il riconoscimento giuridico della facoltà, messo in forse della commissione pubblica istruzione del Senato ma anche contro la guerra in Vietnam, che portò alla chiusura temporanea dell’ateneo, altre ce ne sarebbero state. Il ’68 era alle porte e Sociologia – di cui il presidente della Provincia Bruno Kessler fu l’anima, il pianificatore – ne era stato il motore.
Il neo dottore in sociologia Alberto Franceschini, kessleriano della prima ora, da lì a poco avrebbe iniziato a lavorare per la Provincia, prima come consulente, con alcune ricerche su scuola, lavoro e casa. Poi da dipendente – “tramite concorso”, precisa – nella segreteria di Kessler e poi di Flavio Mengoni. Sul tavolo della casa di via Grazioli sono sparsi i ritagli di giornale dell’epoca. “Senza mitizzarlo – riflette – Kessler fu unico. Il suo lavoro si può riassumere in tre frasi: università e, quindi, cultura, piano urbanistico, cioè lotta all’emigrazione e autonomia finanziaria”.
“Adesso Trento ha una buona facoltà di Sociologia – commenta Franceschini –, anche se non è l’unica in Italia. Però, non ci si può lasciar scappare teste fini come Sergio Fabbrini”. Riguardo alla posizione della Chiesa trentina del tempo in merito alla costituzione della nuova facoltà, Franceschini ricorda: “Iginio Rogger, su richiesta di Kessler, si rivolse all’amministratore apostolico Joseph Gargitter, che in quel momento sostituiva il vescovo Carlo de Ferrari, gravemente ammalato. L’amministratore apostolico fece riferire al presidente della giunta provinciale che l’autorità vescovile considerava l’iniziativa di rigorosa ed esclusiva competenza delle autorità provinciali e che pertanto nulla aveva da dire né a favore né contro. Un atteggiamento di neutralità, di enorme importanza, almeno per l’epoca. Vuoi perché sanciva il principio di separazione tra compiti e responsabilità laiche e religiose, vuoi perché permise a Kessler di rompere gli indugi e proseguire celermente sulla strada intrapresa”.
Lascia una recensione