“Un’oasi di ospitalità, un rifugio sotto le bombe che continuano a cadere dal cielo”. Sono le case salesiane e gli oratori, pochi ma ben saldi nel tessuto sociale devastato della Siria oggi, dopo anni di guerra. don Luciano Buratti è tornato ad Aleppo dove aveva vissuto precedentemente, la sua è ormai una vita “mediorientale”. Una scelta definitiva.
E le chiese cristiane sono strette, per così dire, da un comune destino con un’unica preoccupazione: stare accanto alla gente che è sempre in continuo, costante, imminente, quotidiano pericolo. “Prima della guerra Aleppo era una città ricca dove non mancava proprio niente”.
Adesso i ricchi se ne sono andati da un pezzo, la classe media si è impoverita e i poveri sono diventati miserabili. I ragazzi e i giovani i genere sono scappati per non andare al fronte, una vera e propria diserzione di massa, per quanto possibile. La stretta morsa, la tenaglia micidiale in cui i giovani e le persone in questi lunghi anni di conflitto si sono trovati schiacciati – stritolati – è data dalla presenza di più forze in campo: l’esercito regolare di Assad, il dittatore siriano; le diverse e numerose fazioni di ribelli che costituivano un’opposizione laica e poi le forze islamiste dell’Isis. Districarsi in questo ginepraio non è stato facile e tuttora costituisce un rompicapo che si traduce in continua insicurezza, capovolgimento di fronti, delazioni, vendette.
La ferocia e le brutalità della guerra hanno precipitato Aleppo in un girone infernale con lo spostamento massiccio di popolazione dai quartieri posti ad Est, ridotti in macerie, verso Ovest. Significa che le famiglie devono lasciare tutto e con poche cose andarsene magari anche in modo definitivo.
In una città in cui convivevano pacificamente ben 23 gruppi etnici e religiosi si assiste ad un clima surreale, come se tutti fossero traumatizzati, scossi, intontiti, pure dopo la vittoria dell’esercito regolare e dei russi. Lo stesso don Luciano che l’estate scorsa aveva fatto una breve visita in Italia ai parenti, era apparso a coloro che l’avevano incontrato, molto scosso, provato, come irrequieto di tornare fra la sua gente. Non è facile per chi vede in faccia la morte nel quotidiano adattarsi ad un clima pacifico, spensierato: quei morti e quelle persone che hai conosciuto e frequentato – a cui hai voluto bene e loro ti hanno manifestato affetto e riconoscenza – quei volti che mancano all’appello te li porti dentro, ovunque tu vada, ti seguono perché sono diventate parte di te.
La piccola comunità salesiana di Aleppo è composta da don Pier Jobloyan, originario proprio di Aleppo, da don George Fattal e, appunto, da don Luciano. Se ospitavano, prima della guerra, qualche centinaio di ragazzi, adesso sono triplicati, mille e cinquecento ogni giorno “e il loro numero continua ad aumentare!”. I salesiani sono rimasti nonostante il continuo pericolo, nessuno se n’è andato, e potevano farlo, niente li tratteneva. E’ un servizio che si manifesta nel vivere quotidiano, a fianco delle persone più indifese e bisognose. E’ un servizio che fa conoscere al mondo islamico i valori positivi dell’homo occidentalis come la solidarietà, la separazione tra sfera civile e sfera religiosa, quindi la laicità nel senso pregnante del termine (che non si confonde con il laicismo, un atteggiamento di critica sospetta e di astratta autoreferenzialità); la libertà di coscienza e la libertà di manifestare liberamente le proprie convinzioni religiose. Ed è un servizio anche all’occidente per trovare una giusta, equilibrata e non preconcetta relazione con il mondo islamico. Lo sforzo costante di questa piccola comunità salesiana è quello di “fare le cose normali in tempi che per noi non solo affatto normali”.
“Il Male colpisce, ma anche il Bene agisce” è il leit-motiv di Luciano Buratti. “In questo momento non riusciamo a vedere la luce in fondo al tunnel. Siamo molto tristi, preoccupati e a volte sfiduciati per quello che sta accadendo in Siria anche se manteniamo la speranza che una soluzione pacifica verrà trovata”.
“Vi invito a condividere con noi ferventi preghiere per una soluzione pacifica della crisi siriana, per la sicurezza e per la stabilità”, ribadisce accorato don Munir El Ra’i.
Fra desolazione e macerie la casa salesiana apre tutti i giorni ad Aleppo. Un rifugio, un luogo in cui trovare compagnia, un pane, soccorso. E don Luciano aggiunge: “Tutto è confusione, la morte è ovunque. Ogni notte cadono bombe e ogni volta qualcuno perde un familiare o una persona cara. La nostra comunità ha scelto di continuare comunque le sue attività. Cerchiamo di offrire alle famiglie un luogo in cui si possa respirare un po’ di stabilità e di armonia anche in mezzo al caos”. Per questo le attività della parrocchia e dell’oratorio seguono il loro corso normale come si faceva prima dei combattimenti e delle bombe. Sono circa 200 le famiglie del rione, cui fa riferimento la piccola comunità religiosa, che hanno perso tutto e ora cercano di sopravvivere. Nonostante tutto “qui c’è ancora spazio per la gioia, ci si sposa, si festeggia un compleanno”.
Anche quando il cielo piove bombe e i proiettili cadono sul campo da calcio, al salesiano Luciano Buratti basta osservare quei volti di ragazzi e di giovani per ricordarsi che sì, Aleppo è proprio il posto in cui continuare a vivere.
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