Venezuela al bivio

E’ un piano inclinato pericolosissimo quello in cui si trova la nazione e il popolo venezuelano in queste settimane. Da un momento all’altro la situazione potrebbe assumere connotati imprevedibili con un avvitamento regressivo dei rapporti sociali, fino alla guerra civile. E’ da qualche mese – almeno dall’inizio di aprile – che la piazza ribolle. Finora un’ottantina di morti non son bastati a far rinsavire le parti in causa, principalmente i metodi polizieschi piuttosto spicci e chi li comanda, ma pure una parte dell’opposizione che aizza le proteste per seminare confusione e il panico. Sullo sfondo una certezza, negativa, e cioè la fine di quella che è stata chiamata la rendita petrolifera per il Venezuela, e un’incognita, quale sarà il ruolo delle Forze armate, finora lealiste; ma si sa dei mutevoli umori dei generali in Sudamerica e non solo negli ultimi decenni.

Poi, Maduro non è certamente Chavez. Gli difetta carisma, padronanza dello status quo, una certa empatia con la massa dei diseredati (descamisados in salsa bolivariana) che nonostante le prebende e i sussidi continuano a rimanere tali. Subalterni, esclusi, “miserabili” se – forse per la prima volta nella storia venezuelana – Hugo Chavez aveva cercato di renderli in qualche modo protagonisti, affrancando il popolo dei barrios da un destino fin da troppo tempo segnato.

La rivoluzione bolivariana era cominciata 18 anni fa con elezioni democratiche su cui gli osservatori internazionali non avevano avuto granché da eccepire. Pure le successive riconferme riservavano al caudillo di Caracas un ampio consenso tale da assicurargli una sicura stabilità – fin troppo per assetti democratici di sostanza – a palazzo Miraflores, la munifica sede presidenziale. Semmai l’errore del potere è stato quello di cullarsi troppo sulle proprie pretese: introiti tali da assicurare liquidità a dismisura, incapacità di diversificare in economia sganciando il modello di crescita dalla monocoltura petrolifera, una scontata supponenza che agli impoveriti basti alzare il livello dei consumi senza un’adeguata promozione culturale ed umana che segni davvero oltre alla liberazione dal bisogno anche una liberazione “integrale”.

Se persino papa Francesco ha dovuto alzare bandiera bianca nel suo lodevole tentativo di mediazione fra i contendenti – e anche domenica 2 luglio ha lanciato un nuovo appello alla responsabilità – qualcosa vorrà significare. Siamo giunti a un livello estremamente rischioso di non ritorno. L’appuntamento ora è quello di fine mese, il 30 luglio, quando i venezuelani saranno chiamati alle urne per eleggere un’Assemblea costituente, appuntamento voluto da Nicolàs Maduro per aggirare un parlamento ostile e recalcitrante. Maduro vuole cambiare la Costituzione, ma il suo intento è quello di evitare le elezioni presidenziali del 2018.

Si vedrà. Ma intanto, a qualche distanza, a Nord, un certo Donald Trump soffia sul fuoco: ha giurato che caccerà Maduro. Pare di esser tornati indietro, ai tempi in cui il subcontinente veniva considerato “orto di casa” del potente controllore, mera appendice di interessi yankee con la “dottrina Monroe” (l’America agli americani) aggiornata a tutto vantaggio, come al solito dell’inquilino della Casa Bianca, in questo frangente del miliardario dai capelli di paglia…

Si sta preparando il “golpe” a Caracas. Un colpo di stato repentino. E qualcuno mette nel conto anche una lunga scia di sangue. Fermatevi – implora papa Francesco – prima che sia troppo tardi!

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