L’icona, si sa, in arte è propriamente una raffigurazione sacra dipinta su tavola, prodotta nell'ambito della cultura bizantina e slava. Il termine deriva dal greco bizantino "εἰκόνα" e dal greco classico “εἰκών -όνος“ derivanti dall’infinito perfetto “eikénai”, traducibile in “essere simile”, “apparire”, dunque il termine “eikóna” può essere tradotto con “immagine”. La produzione di icone iniziò intorno al V secolo prendendo spunto dalla presenza di numerose immagini sacre, in particolare ritratti della Vergine, attribuiti dalla tradizione all’apostolo Luca. La teologia ortodossa riteneva le icone opere di Dio stesso, realizzate attraverso le mani dell’iconografo: risultava dunque inopportuno porre sull’icona il nome della persona di cui Dio si sarebbe servito. I volti dei santi rappresentati nelle icone sono “liki”, ovvero volti che si trovano fuori dal tempo, trasfigurati, lontani dalle passioni terrene. Il crollo, nel 1453, dell’Impero bizantino favorì lo sviluppo e la diffusione della produzione delle icone e del loro uso devozionale e decorativo.
A distanza di secoli il simbolismo e la tradizione originari hanno mantenuto pressoché intatta la loro essenza che coinvolge sia l’aspetto visivo, formale, pittorico che, in parte, anche quello relativo alla lunga e puntigliosa preparazione vissuta dalla esperienza della relazione, della comunione con l’Oltre, e agli specifici materiali utilizzati dall'artista iconologo. L'icona, epifania del divino ed essenza di sacralità e divinità, fra le sue caratteristiche ne ha molte di peculiari e imprescindibili. Così l’astrazione, ovvero il distacco dalla realtà visiva; l’impostazione, che smuove e rompe gli schemi della pittura; il volto, fortemente spiritualizzato; l’atemporalità, in quanto la dimensione del divino è fuori del tempo cronologico; l’armonia e la simmetria, ottenute con proporzioni geometriche; il frontalismo, la bidimensionalità e la incorporeità della figura rappresentata; il colore, inteso come gioia dello Spirito; la costruzione piramidale. È per questo che ogni qualvolta ci si ferma e con atteggiamento disarmato si sosta a contemplarla, l'icona continua a trasmette identica la sua fascinosa misteriosità, il particolarissimo messaggio teologico, e latamente spirituale che ci aiuta a meditare, guardarci dentro, vivere più intensamente.
In Trentino Tullia Fontana è senza dubbio fra le pittrici più e meglio impegnate nella produzione di icone, sia tradizionali che interpretate, come dice lei, “contaminate”. Nota e amata dal pubblico, negli anni passati ha esposto diverse volte la sua produzione. Memorabili, nella sua Borgo Valsugana, le mostre “Ritorno al futuro” (2013-2014) e “Donne e Madonne” (2016-2017), in dialogo con suo fratello Nerio.
Ora espone una trentina di sue tavole nel suggestivo ambiente di sala San Giovanni, in cattedrale. La mostra, aperta fino al 16 luglio con orario 9-12 e 14.30-20, è stata significativamente presentata da due esperti che da anni sono ammaliati dal fascino delle icone e seguono la produzione di “Lula” Fontana: il decano del Capitolo della Cattedrale mons. Lodovico Maule e il filosofo don Marcello Farina.
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