“Aprire un libro – dice la scrittrice – è uscire dalla propria stanza e vivere nella vita degli altri senza giudicarli”
Tutto esaurito nella sala del Teatro San Sisto a Caldonazzo. A dispetto della calda giornata di sole, che invita sulle rive del lago, in tanti sono accorsi invece ad applaudire Silvia Avallone, ospite per la prima volta al Trentino Book Festival. Al terzo libro in sette anni, per nulla intimorita dal successo della sua opera prima “Acciaio” (seconda classificata al premio Strega e vincitrice del Premio Campiello – categoria Opera Prima) Silvia Avallone dimostra di non temere il confronto con il passato ed il successo.
“Anzi, non mi piace il successo – incalza rispondendo alle domande di Michela Grazzi, giornalista di radio Trentino inBlu, chiamata a dialogare con lei – avere successo è una malattia del nostro tempo, dove vogliamo “tutto subito” e fare fatica è un concetto proibito nel 2017. Ma nella vita bisogna fare conto con i fallimenti e le delusioni.”
E nei suoi romanzi le sconfitte, ma più di tutti gli sconfitti, gli ultimi, sono i protagonisti. Anche in questo “Da dove la vita è perfetta” come nei precedenti libri al centro ci sono realtà sociali e familiari difficili. Persone in cerca di un riscatto. “Da dove la vita è perfetta” nel racconto è un luogo, una panchina, da cui una delle protagoniste osserva la felicità degli altri. “Ma la vera felicità – sottolinea l'autrice – nel mondo d'oggi dove i giovani sono portati a non avere speranza per il futuro, può essere anche solo avere un progetto. Nelle periferie bisogna affrontare delle difficoltà per assicurarsi un futuro; per questo mi piace raccontare questi luoghi. E le periferie, geografiche o esistenziali, non sono difficili da trovare: infelicità, solitudine e degrado sono molto vicine ad ognuno di noi.”
Tema centrale del racconto è la maternità. Scontato, si potrebbe pensare, data la recente nascita della figlia di Silvia. Ma non c'è nulla di scontato nelle “storie di confine” come si potrebbero definire quelle della scrittrice. C'è anche in questo un “confine” che blocca le protagoniste nel loro dolore. C'è una ragazzina che rimane incinta per tenersi il fidanzato (che poi inesorabilmente se ne andrà) ed un’altra donna, benestante, che invece non riesce a diventare madre. Entrambe, da confini diversi del mondo sociale, dovranno affrontare un percorso che le porterà ad accettare se stesse ed una felicità diversa da quella immaginata, ma che può rivelarsi davvero grande.
Sono tante le storie che si sviluppano attorno alle protagoniste. Uno forse è la stessa autrice, sotto mentite spoglie. E’ Zeno, unico elemento di unione tra la “Bolobene” e la “Bolofeccia” (richiamo alla cronaca di uno scontro di in-civiltà avvenuto tra giovani bolognesi qualche anno fa). Il liceale osserva, senza mai giudicare. Osserva e scrive, racconta le vite degli altri. “E’ indubbiamente il personaggio in cui mi ritrovo – conferma Silvia Avallone – se non l’avessi scritto io questo libro probabilmente l’avrebbe fatto lui. E’ l’unico abitante dei Lombriconi a frequentare una scuola. Non esce mai di casa ed è sempre piegato sui libri. E’ considerato un po’ lo “sfigato”. E oggi leggere fa passare ancora da “sfigati”, ma aprire un libro significa uscire dalla propria stanza e vivere nella vita degli altri senza giudicarli ed incontrare nuovi luoghi. Leggere aiuta ad essere una persona libera.”
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