Tra le non poche riflessioni suggerite dagli ultimi avvicendamenti nel clero trentino (a pag. 15), c'interroga l'inedita scelta di mons. Lauro Tisi di “liberare” di tempo ed energie il suo attuale segretario. Non tanto perché il suo posto sarà ricoperto a tempo pieno da un laico o perché l'Arcivescovo ritenga di poter girare da solo la diocesi con la sua “Golf”, senza farsi accompagnare e “mediare”, quanto per la motivazione sottolineata anche dal vicario generale : poter così destinare completamente un sacerdote all'essenziale, all'annuncio del Vangelo nel mondo di oggi, in questo caso al servizio dei tanti studenti universitari.
La domanda, allora, potrebbe essere: se il nostro vescovo rinuncia al “don” segretario, a che cosa siamo chiamati a rinunciare noi? O meglio: di che cosa possiamo “alleggerirci” per dedicarci con maggior forza a quanto conta nella Chiesa e nel mondo di oggi?
Un'avvertenza preziosa ci viene da Francesco e Luca, i due preti novelli pronti all'ordinazione del 24 giugno, che non nutrono sfiducia di fronte ad un futuro sguarnito di forze, e confessano: “Non abbiamo al momento le soluzioni in tasca, forse siamo chiamati a cercarle, non da soli, ma insieme alle nostre comunità” (a pag.3).
Soltanto con quest'invito a “discernere insieme” s'interpretano a fondo le responsabilità “allargate” di incarichi pastorali altrimenti raggelanti: un prete con 19 parrocchie aiutato da cinque anziani presbiteri, due parroci di un'intera valle che condividono con un giovane cooperatore la vita di canonica, un cappellano ospedaliero dedicato a tempo pieno nelle corsie del dolore.
Queste scelte assumono forza nella misura in cui le comunità – e i cristiani trentini alle soglie del 2020 – vogliono farsene carico: altrimenti, il prete-trottola rischia di saltare, la fraternità sacerdotale resta una formula angelica e anche la pastorale degli ammalati soffoca nella delega all'addetto ai lavori.
Insomma, in queste nomine uscite a pochi giorni dalla festa del patrono Vigilio, si rispecchia il volto della Chiesa trentina chiamata a incarnarsi nel territorio.
I due parroci “santi” che Papa Francesco ha indicato nella sua sosta a Bozzolo e Barbiana il 20 giugno scorso benedicono questo cammino purché sappia bagnarsi nella storia, anche nelle periferie della terra di San Vigilio. Mentre il riconoscimento di don Milani fa convergere la nostra opzione principale nel servizio ai poveri, quello di don Mazzolari aiuta a riconoscere tre possibili mancanze delle nostre comunità.
In primo luogo “quella di chi sta alla finestra a guardare senza sporcare le mani”, il “balconear la vita” tanto criticato da Papa Francesco, e si accontenta di criticare senza invece dare un apporto costruttivo alla soluzione dei problemi.
Un secondo difetto, secondo Francesco, è l'attivismo separatista, che crea sì istituzioni cattoliche ma anche una comunità cristiana elitaria, “favorendo interessi e clientele con un'etichetta cattolica”. “Senza volerlo – commenta il Papa – si costruiscono barriere che diventano insormontabili all'emergere della domanda di fede. Si tende ad affermare ciò che divide invece che ciò che unisce. E' un metodo che non chiude porte e genera diffidenza”.
Infine, la terza tentazione da sradicare mentre si progetta il futuro è quello che il Papa chiama lo spiritualismo: “Ci si rifugia nel religioso per aggirare le difficoltà e le delusioni che s'incontrano. Ci si estranea dal mondo, vero campo dell'apostolato, per preferire devozioni”.
Dalla freschezza dei preti novelli e dalla seconda frizzante lettera pastorale di mons. Tisi consegnata il 26 giugno verranno altri contributi alle domande che non vogliamo evitare.
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