Le opere dei trentini Zanini e Garbari, realizzate tra il 1914 e il 1958, in mostra a Casa Depero
Con Fortunato Depero hanno vissuto i difficili momenti della prima guerra mondiale e del successivo periodo ma non fanno parte della schiera dei futuristi; hanno però saputo dare un originale apporto all’arte italiana del primo Novecento. Gigiotti Zanini (1893-1962) e Tullio Garbari (1892-1931) sono ora in mostra, fino all’8 ottobre, alla Casa d’arte futurista Depero, a Rovereto. Con l’esposizione “Zanini e Garbari, nel segno del Novecento”, il Museo d’arte moderna e contemporanea (Mart) intende così sostenere la riscoperta di due autori d’origine trentina che hanno offerto un importante contributo alla cultura del primo periodo del XX secolo.
I due, che erano amici anche se non si frequentavano assiduamente, si “ritrovano” a distanza di oltre cent’anni dalla prima esposizione congiunta che si tenne nell’ottobre del 1913, a Palazzo Galasso a Trento. Si erano conosciuti in quel periodo. Di Gigiotti Zanini, originario della Val di Fassa, si possono ammirare oltre trenta opere che vanno dal 1914 al 1958, la maggior parte delle quali è giunta al Mart grazie al dono del figlio dell’artista, Giorgio. Mentre di Tullio Garbari, nato a Pergine Valsugana, vi è una ventina di disegni, realizzati tra il 1914 e il 1924. Con Ballerina, Zanini aderì solo fugacemente alle idee futuriste, nell’immediato dopoguerra adottò un linguaggio arcaico, per poi approdare ai dipinti più maturi del secondo dopoguerra, con paesaggi da un tenute e dolce cromatismo e con nature morte. Nei dipinti Zanini non manca di immettervi le sue conoscenze d’architetto. In un’opera della maturità, Veduta fantastica di Castel Toblino (1950), Zanini «torna al paesaggio imparato a mente», scrive nel catalogo la curatrice Nicoletta Boschiero, «preso a prestito da Giorgione» per via della zingara che allatta il bambino come nella famosissima Tempesta dell’artista di Castelfranco Veneto. Il dipinto, al pari de l’Incendio (1924), evoca una rappresentazione teatrale.
Assai diversi sono invece i soggetti del Garbari, che rimandano alla serenità di un mondo bucolico, dove sono protagoniste figure di donne, in particolare la madre e le tre sorelle, ritratte in scene quotidiane, in campagna o in casa, come quella di Donne che ripongono la biancheria (1916). È ciò che aveva di più caro – il ricordo della famiglia e della giovinezza – nel momento doloroso dell’esilio. Allo scoppio del conflitto infatti si stabilì a Milano. Garbari non smise di confrontarsi con i grandi maestri della storia dell’arte, come Giotto, Masaccio, Piero della Francesca. In merito a quest’ultimo non mancano possibili riferimenti al retro del Dittico dei Duchi d’Urbino ne Il carradore del Fersina (1917), di cui è presente in mostra un acquarello e guazzo. Orario di visita: martedì-domenica, dalle 10 alle 18.
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