In Costa d’Avorio si toccano con mano anche le contraddizioni del continente africano
Abidjan (Costa d’Avorio) – Dopo la Messa della domenica, fuori dalla chiesa della parrocchia di San Matteo, periferia della capitale, un venditore di gelati richiama i ragazzini come le mosche sul miele. Immagini dell’infanzia, anche da noi.
Fino a qualche anno fa la parrocchia di San Matteo, un territorio grande come la città di Trento, una popolazione di quarantamila abitanti, era tenuta dagli Stimmatini di Verona. La stessa congregazione che, a Trento, in via San Bernardino, è chiamata dei “Bertoniani” per via del fondatore, San Gaspare Bertoni. È passata alla diocesi di Abidjan e la regge un prete che tuona dal pulpito contro i genitori che abbandonano i bambini. Spara nel mucchio, perché qui i piccoli sono come le formiche e li vedi girare scalzi sulle strade di fango del villaggio di Anonkoua-Koutè. Villaggio per modo di dire perché è grande quanto mezza valle dell’Adige, ma è il primo insediamento che diede vita alla metropoli di Abidjan.
Oggi la città ha almeno otto milioni di abitanti, un terzo della popolazione della Costa d’Avorio. Qui tutto è esagerato, a cominciare dalla cattedrale di San Paolo, un gioiello dell’ingegneria dell’italiano Aldo Spirito, fabbricata in trenta mesi sul luogo dove c’era il carcere di Abidjan, per volere dell’allora presidente Félix Houphouet-Boigny. Lo stesso presidente impose la fabbrica della basilica di “Nostra Signora della Pace” a Yamoussoukro, costata 250 milioni di euro, una brutta copia della basilica di san Pietro a Roma. Fu consacrata da papa Giovanni Paolo II nel 1990, ma il pontefice accettò di essere presente solo a patto che vicino fosse costruito almeno un ospedale.
È una chiesa da Guinnes. La cupola di San Pietro, a Roma, è alta 133 metri; quella di Yamoussoukro misura 158 metri. A chi gli contestava la spesa enorme per un paese povero come la Costa d’Avorio, il presidente avrebbe risposto: “Anche la Francia di Luigi XVI era in miseria quando fu fabbricata la reggia di Versailles, oggi biglietto da visita che tutti invidiano alla Francia”. Nel 1983 Houphouet-Boigny aveva elevato la sua città natale a capitale della Costa d’Avorio. Gli serviva un monumento degno e così ha fatto. A spese, sostengono gli oppositori, delle casse dello Stato. Il presidente megalomane è morto nel 1993 a 88 anni. Resta la basilica più grande del mondo dove, nei giorni di festa, si radunano diecimila devoti e le messe non durano meno di quattro ore.
Anche nella parrocchia di San Matteo, ad Abidjan, trecento chilometri da qui, la messa della domenica non dura meno di due ore. Sarà perché c’è la presentazione dei catecumeni, perché il coro canta e balla (e con il coro balla tutta la folta assemblea dei devoti), perché il celebrante, a ogni pausa, non perde occasione per redarguire i parrocchiani. Fuori, nel piazzale della parrocchiale, i catechisti sono intenti a istruire i futuri catecumeni in un percorso di avvicinamento alla religione cattolica che può durare alcuni anni.
Dove possono, quando possono, danno una mano le suore della Provvidenza che, a due passi dalla chiesa, gestiscono una struttura ospedaliera di importanza vitale per la comunità. I vari padiglioni, ricostruiti grazie anche agli aiuti del Trentino, dopo la guerra civile che ha insanguinato la Costa d’Avorio fra il 2002 e il 2011, sono un esempio di efficienza. Soprattutto per quanto riguarda la maternità e l’infanzia. Mentre da noi monta la polemica per l’obbligo alle vaccinazioni, qui le mamme dai vestiti multicolori fanno la coda per far somministrare ai loro cuccioli i vaccini contro la poliomielite, difterite, morbillo, febbre gialla, meningite, Tbc. Finita la terapia, si caricano il bambino sulla schiena, lo avvolgono in una striscia che si legano attorno alla vita come uno zaino e riprendono la via di casa. Camminano in fila indiana, magari per qualche decina di chilometri perché il Bakà, il pullmino scassato del trasporto collettivo, costa. E non sempre ci sono i soldi per poter usufruire del servizio. Qualche giovane spericolato lo prende al volo, saltando sul paraurti e aggrappandosi al portellone posteriore. Pregando Dio, o Allah o gli dei degli animisti che l’autista non abbia a frenare all’improvviso. Gli incidenti non si contano, i morti nemmeno.
Suor Giuseppina Usai, una suora sarda di 62 anni, qui dal 1985, sovrintende al centro sanitario di Anonkoua-Kouté avviato nel 1991 nel comune di Abobo. Ne sa più dei pochi medici di cui dispone.
A questo centro sanitario arrivano ogni giorno non meno di 600 pazienti. Osserva il dott. Antonio Mazza, pediatra, presidente della associazione “Casa Accoglienza P. Angelo” di Trento: “L’alta densità della popolazione, la mancanza di case di accoglienza, la precarietà e la carenza di strutture igieniche fanno di questa popolazione uno strato sociale a rischio, soprattutto per quanto riguarda le donne e i bambini”.
Per tale ragione la Onluss trentina ha avviato da anni una stretta collaborazione con le suore della Provvidenza della Costa d’Avorio. Da dove partono migliaia di giovani verso il nord del mondo. Aiutarli a casa loro costa meno anche a noi.
con le immagini di Gianni Zotta
(6. fine. Le precedenti puntate negli ultimi numeri di Vita Trentina)
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