Trovarsi a chiacchierare tra persone libere e non libere permette di cogliere e portare alla luce quel “rapporto dolente” che da sempre caratterizza la relazione tra il carcere e la “società dei giusti”. Permette di non dimenticare che esistono strutture, le carceri, piene di gente che pensa, riflette, parla. Persone il cui carattere e le cui personalità e coscienze si evolvono in misura talvolta sorprendente, pur restando fisicamente sempre lì, all’interno di quelle mura. Si tratta di uomini e donne che sono privati della libertà perché a loro volta hanno privato qualcun altro di un proprio diritto. Perché l’essere umano può sbagliare; così come può cambiare.
Partendo dalle immagini con cui i detenuti hanno descritto la Costituzione – una promessa tradita, un cantiere mai finito, una palude, la rete del trapezista “che ti salva quando compi un errore” -, abbiamo ragionato su come la conoscenza della Costituzione possa contribuire a realizzare quello che alle volte è scritto solo in una legge; di quanto sia importante essere consapevoli dei diritti di ogni individuo, ma anche dei doveri, delle libertà e dei rispettivi limiti; e di come sia opportuno riconoscere l’esistenza del quadro complessivo dell’ordinamento, e rispettare i diritti degli altri in modo che gli altri rispettino i nostri. Ci siamo detti che l’altra persona tante volte è davvero diversa, ma che questo non deve spaventarci. Che la diversità è motore di confronto e conoscenza, se basata su un rispetto reciproco. Che le storie di ognuno sono diverse e che il diritto di essere sé stessi è il primo a dover essere riconosciuto; anche in carcere.
Ogni incontro è stato una sorpresa. I temi cui i detenuti hanno dedicato maggiore attenzione, infatti, non sono stati quelli contingenti, relativi alla loro detenzione, ma quelli ben più generali e comprensivi legati allo stato di diritto, alla necessità di rinforzare il senso civico all’interno della società, di studiare nuove e più efficaci forme di partecipazione politica e di selezione dei nostri rappresentanti.
Il carcere, che è certamente un luogo di necessaria sospensione di alcuni diritti (non della dignità, però), è diventato un terreno di incontro fra persone anche fragili, certamente differenti, dove differente dovrebbe però diventare un modo per favorire la responsabilizzazione dell’individuo.
Lo scorso 22 maggio abbiamo concluso l’ultima lezione con la sensazione, o forse solo l’auspicio, di aver contribuito a costruire, attraverso la conoscenza del diritto e della sua applicazione, una più piena e autentica consapevolezza. Di aver reso un po’ più concreto lo scopo di responsabilizzazione e rieducazione che la pena dovrebbe avere in forza dell’articolo 27 della Costituzione.
Matilde Bellingeri
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