Come fotografa la “speranza” il più gettonato motore di ricerca in internet? Provare per credere: digitarne il nome e scegliere “immagini”: su tutte, una piantina verde che si fa largo tra le rocce o l'asfalto. Un potente e laicissimo strumento digitale di uso quotidiano attribuisce in sostanza all'anelito storicamente più diffuso – la speranza appunto – un connotato altamente evangelico. Il collegamento è ovviamente al seme che cade in terra, muore, e morendo porta frutto. E lo fa anche dove tutto sembra remare contro. Ne è ben consapevole Papa Francesco quando cita il brano dell'evangelista Marco (4,1-34) nel messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali (in calendario domenica prossima 28 maggio) in cui rilancia la sfida di “Comunicare speranza e fiducia nel nostro tempo”. Bergoglio invita i comunicatori (e tutti nell'era social lo possono essere) a una forte assunzione di responsabilità nell'indossare “occhiali” particolari, gli stessi dell'uomo di Nazareth. Capaci, cioè, di osservare la realtà in modo costruttivo, di leggere buone notizie anche quando tutto – ogni giorno ve ne sarebbe ragione – sembra andare nella direzione opposta.
Che la buona notizia tradizionalmente non “buchi” o non faccia effetto rasenta il banale. Anzi: nell'ambiente giornalistico viene (forse veniva?) tacciato di ingenuità chi non sia consapevole dell'efficacia del mix delle (almeno) tre “s”: sangue, sesso e soldi.
Ma nemmeno nella Chiesa sembrano proliferare i nostalgici della buona notizia, piuttosto s'aggirano minacciosi gli uccelli del malaugurio, pessimisti se non cinici: quelli, per capirci, che quando nelle nostre comunità acciaccate si muove qualcosa di positivo sono subito pronti ad attribuirne il merito alla casualità o a cercare il pelo nell'uovo. Altro che speranza e fiducia, quasi allergici al presupposto stesso del cristianesimo: riconoscere, rammenta Francesco, nel Cristo la prima buona notizia. Gesù, si legge ancora nel messaggio per domenica, era abile nell'istruire i suoi seguaci ad adottare l'occhiale giusto, facendo leva sul linguaggio delle parabole e della forza evocativa delle immagini da esse generate. Uno stile narrativo che consentiva a ciascuno di visualizzare il proprio vissuto perché vicino al quotidiano, realistico, concreto, non astratto o dogmatico, frutto di fredda teologia. Buona notizia per tutti, non per pochi eletti. Buona notizia per chiunque sia in ricerca, stanco e affaticato. Non si senta arrivato. O non abbia nemmeno iniziato a camminare. A tutti, il grande Comunicatore indicava la strada un paio di migliaia di anni fa. “Nasce così – commenta Francesco – una speranza, accessibile a chiunque, proprio nel luogo in cui la vita conosce l'amarezza del fallimento.” Terreno fertile è dunque quello abitato da umanità autentica anche in contesti inattesi, tutti da raccontare. Per dirla alla don Lauro: “senza aver paura delle persone, delle loro storie accidentate. Bisogna andare con la fiducia, con la certezza che comunque quel terreno è abitato da Dio. Dobbiamo superare l’idea dei recinti e dei territori sacri, anche l’idea dei terreni puliti: il terreno umano è sempre pulito e allo stesso tempo sporco”(dall'intervista a Vatican Insider).
Rimodulare la presenza di una comunità di credenti realmente in uscita, conformata all'auspicio dell'Evangelii
Gaudium di avviare processi più che occupare spazi, può forse configurare, in particolare per chi opera nella comunicazione, uno scenario in cui la Chiesa si preoccupa dei contenuti, prima ancora dei canali su cui diffonderli. E non è detto (Google insegna?) debbano essere i propri, quantomeno non solo quelli. Sapendo che per sperare di “fare notizia” non si bypassa la via imprescindibile di una testimonianza credibile e nemmeno il ricorso a un “postino” complice, quale lo Spirito. Nella sua imprevedibilità, il più potente motore di ricerca.
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