Le testimonianza di Kawtar e Mounir all'incontro alla vigilia della Festa dei popoli
“Molti pensano che portare il velo sia una oppressione. Io non lo indosso, mia madre invece sì e vi assicuro che non è una donna oppressa. Se l fosse non sarei qui stasera a raccontarmi…”. Kawtar Azza, vent'anni, è nata a Casablanca e da 13 anni vive in Trentino, frequenta il “Tambosi”. Occhi neri ed espressivi, neri i capelli, i tratti dolci e regolari, Kawtar oggi ha cittadinanza italiana ma ripercorre le difficoltà dei primi anni:
Non si sente diverso dai suoi amici italiani Mounir Touzri, che di cittadinanze ne possiede ben tre. Diciannove anni, di madre marocchina e padre tunisino, è nato e cresciuto in Trentino. “Grazie ai miei genitori, che si sono conosciuti a San Donà – sorride – ho ereditato un’immensa opportunità, a cavallo fra tre culture, nella capacità di confrontarmi. Il pilastro della mia vita è la famiglia – racconta – un punto di rifermento che non mi ha mai ostacolato. Questa fiducia mi ha aiutato ad integrarmi con gli altri e a conciliare le culture familiari con i costumi e le regole del Paese dove sono cresciuto”. Mounir riconosce che per una ragazza il percorso è più complicato. “Ci sono pregiudizi duri a morire da entrambe le parti – osserva – mia madre porta il velo e le capita ancora di subire sguardi e commenti di diniego; dall’altra può capitare che figli di immigrati si sentano giudicati dagli stessi genitori per come vestono all’occidentale”. Per Mounir il vero problema da superare è l’ignoranza. “La mancanza di conoscenza reciproca – prosegue – portano ad una chiusura e a una visione distorta della realtà. Il ruolo della famiglia è fondamentale nel trasmettere i valori del rispetto, della tolleranza, dell’uguaglianza”.
“Ignoranza e razzismo vanno a braccetto – gli fa eco Kawtar – alimentano gli stereotipi e i luoghi comuni. E i media in questo hanno un'enorme responsabilità perché spesso gonfiano notizie, parlano di veli imposti con forza, di matrimoni combinati che diventano incubi…sono episodi che mettono in cattiva luce l'intera comunità mussulmana e non favoriscono certo la convivenza nella multiculturalità”.
I loro coetanei, a parte qualche eccezione, mostrano
Come tutti i loro coetanei anche Mounir e Kawtar hanno i loro sogni nel cassetto. “Il mio è di fare il calciatore – si schermisce Mounir – ma se sto con i piedi per terra mi piacerebbe lavorare nel turismo, un settore che ti mette in contatto con culture diverse”. “La mia speranza è che ci sia una ripresa economica in Europa, nell'Italia che ormai sento mio – ribadisce Kawtar – e che ci sia giustizia per tutti. Poi mi piacerebbe fare qualcosa per il Marocco e lavorare nel sociale. Noi giovani siamo il futuro, chiediamo solo che ci sia data una opportunità”.
Lascia una recensione