Con il dott. Antonio Mazza, già primario a Cles, a Konguanou nell'ospedale gestito dalle suore della Provvidenza e ad Abidjan per promuovere la prevenzione sanitaria
Costa d’Avorio, maggio – I bambini dell’Africa piangono, come i nostri. Ma i ragazzi dell’Africa sorridono: sempre. Anche quando mani pietose li aiutano a staccare le bende, incollate alla carne viva, per una medicazione dolorosissima e con scarsi analgesici.
“Centro di trattamento delle ulcere del Buruli”, un piccolo ospedale nella savana, a Konguanou, trenta chilometri a nord-est di Yamoussoukro, la capitale politica della Costa d’Avorio. È gestito dalle suore della Provvidenza, la congregazione fondata da S. Luigi Scrosoppi, a Udine nel 1837. Fu la prima stazione missionaria fondata da questa congregazione religiosa quando vi arrivarono le suore nel 1973.
Le ulcere del Buruli (dal nome della zona ugandese dove furono individuate) sono causate da un parassita che vive nell’acqua e che si annida sotto la pelle di coloro che lavorano nelle risaie. Attacca perfino i muscoli. Le piaghe faticano a rimarginare tanto che sono necessari trapianti di pelle. In quest’ospedalino di “frontiera”, nel cuore della Costa d’Avorio, lavora un giovane medico, un dermatologo che visita i 56 pazienti tre volte la settimana. C’è chi è costretto a un ricovero che può durare mesi, se non anni. Per i più piccoli è stata allestita pure una scuola. Una volta al mese arriva un'équipe chirurgica. Vi resta un paio di giorni. Il resto è affidato alla… Provvidenza, alle suore africane che danno ordini al personale, dirigono, si rimboccano le maniche e ridono di gusto. Perché in Africa la vita è gioia, anche quando la fatica ti appare profonda come le voragini delle piste nella savana.
Il dott. Antonio Mazza, già primario dell’ospedale di Cles, presidente di una Onlus che in Africa opera da quindici anni (Uganda, Costa d’Avorio, Togo e Sierra Leone) promette al collega della savana l’invio di alcuni presidi sanitari: stampelle, cyclette e quanto serve per una rieducazione motoria. Diversamente, per i giovani soprattutto, si prospetta un futuro in carrozzina. Se qualcuno avesse stampelle o girelli li può portare a Casa Accoglienza, Trento, viale Bolognini 28.
“In questa opera di prevenzione e di cura di varie patologie, qui e altrove, – spiega il dott. Mazza – abbiamo trovato ampia collaborazione dall’arcivescovo Bressan, dalla Provincia e pure dalla Regione Trentino-Alto Adige. Gli interventi in Africa sono stati portati a buon termine grazie anche all’aiuto dei miei colleghi dell’università di Padova (Roberto Faggin, Laura Sainati, Gianni Pettenazzo e Alessandro Mazza)”.
Qui è stagione delle piogge. A ogni diluvio le pozzanghere diventano laghi, le strade acquitrini. Ad Abidjan, la capitale economica e sociale, sul golfo di Guinea, vive un terzo della popolazione della Costa d’Avorio: 8 milioni di abitanti. Il traffico, caotico di proprio, diventa una bolgia infernale nelle ore di punta: al mattino e la sera.
Suor Giuseppina Usai, la superiora della casa della Provvidenza a Anokuà-Koute, guida come un pilota da formula uno. Forse perché ha i santi giusti cui votarsi, sguscia indenne fra una corsia e l’altra, fra un taxi e i mille pullmini scassatissimi del servizio privato, che corrono tagliandosi la strada l’un l’altro, verso la periferia di questa megalopoli. Suor Giuseppina, originaria della Sardegna, 62 anni, è in Africa da trentadue.
Le suore della Provvidenza, molto note in Trentino dove hanno “pescato” centinaia di consorelle, nel continente nero hanno fondato nove comunità: tre in Costa d’Avorio, tre in Togo, una in Benin e due in Sudafrica. In totale sono 54 suore, più di quaranta delle quali di origine africana. La superiora provinciale per l’Africa è la friulana suor Bruna Paravano.
Le religiose operano nel settore della sanità e dell’educazione. Ad Abidjan sono in sette: quattro in attività e tre studentesse. Il centro sanitario del quale suor Giuseppina è la responsabile è affollato ogni giorno di centinaia di pazienti.
Vi fanno riferimento circa quarantamila persone, vale a dire la popolazione del quartiere di Anokoua-Kouté dove è cominciato lo sviluppo della città.
“Si fa prevenzione, si vaccinano i piccoli, si accolgono le gestanti e si mettono al mondo i bambini”. Tanti, perché la Costa d’Avorio ha una popolazione prevalentemente giovane. Non ci sono statistiche, manca un’anagrafe aggiornata. Colpa della guerra civile, si dice qui, la rivoluzione che ha insanguinato questa nazione fra il 1999 e il 2011. Anche le suore della Provvidenza hanno provato sulla loro pelle la devastazione. La casa di Abidjan e l’annesso centro ospedaliero furono bruciati e saccheggiati dai ribelli. Accadde il 7 marzo del 2011. Le suore, assieme ai missionari Stimmatini della vicina parrocchia, se n’erano andate poche ore prima.
Non vi furono vittime, ma i danni ingentissimi sono stati riparati soltanto di recente.
Ad ogni buon conto, suor Giuseppina tornò poco dopo e riuscì a tenere testa ai soldati ribelli che si erano insediati nei locali dell’ospedale. Se non avessero avuto il Kalashnikov a tracolla li avrebbe volentieri presi a schiaffi.
Il 31 ottobre 2010 c’erano state le elezioni presidenziali. Due i candidati: Alassane Quattara e Laurent Gbagbo: quest’ultimo contestò il risultato del secondo turno che dava per vincente il suo sfidante. Vi fu un conflitto sanguinoso finché Gbagbo fu arrestato l’11 aprile 2011 e consegnato alla Corte penale internazionale per “crimini contro l’umanità”.
Gli scontri hanno riportato indietro di qualche decina d’anni la Costa d’Avorio, un paese che era il principale esportatore di cacao al mondo (un milione e mezzo di tonnellate). E la guerra serve adesso come alibi per la mancata tenuta delle anagrafi. Cosicché prolifera il mercato nero dei certificati di nascita e di cittadinanza. I nuovi mercanti di schiavi fanno il resto. Numerosi immigrati clandestini che approdano sulle coste italiane dichiarano nazionalità Ivoriana. Ma, si fa notare qui, l’origine reale è incerta. Anzi è probabile che siano partiti da altri Paesi del golfo di Guinea. La provenienza da una nazione non ancora completamente pacificata dovrebbe agevolare, si dice loro, l’accoglienza in Europa.
“Il fatto è – spiega suor Giuseppina – che qui un tassista guadagna l’equivalente di 50 euro al mese. Se dall’Europa riuscisse a mandarne a casa cento, anche l’emigrazione, con tutti i rischi che comporta, potrebbe essere una chance da giocare”.
Intanto da lunedì 8 maggio i dipendenti pubblici (scuola e ospedali) sono in sciopero a oltranza. Chiedono di essere pagati da uno Stato che lesina sullo stipendio. Il denaro arriva in ritardo e con il contagocce.
Sotto la cenere cova ancora la ribellione.
Nella notte africana le piste sterrate fra gli slums della periferia di Abidjan si popolano di centinaia di migliaia di esseri umani. In fila indiana, a fare lo slalom fra gli autotreni scarburati, le vetture scassate, le immondizie puzzolenti, le buche senza soluzione di continuità, le pozzanghere infinite. E solo per conquistare brandelli di vita.
Se li saluti ti sorridono. Sempre, anche la notte. Prima di guadagnare una stuoia sotto un tetto di lamiera o un giaciglio improvvisato sul limitare di una pista.
Viva l’Africa perché, nonostante tutto, è viva.
(1- continua)
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