Gli abitanti di At Tuwani, piccolo paesino a sud di Hebron in Cisgiordania, da anni rispondono ai soprusi dell'occupazione militare non con le armi, ma con azioni nonviolente. Quando i loro olivi sono abbattuti, li ripiantano come segno di resistenza e di speranza. A darne testimonianza è stato a Trento, lunedì scorso 8 maggio, Hafez Huraini, palestinese, fondatore del comitato popolare nonviolento delle colline a sud di Hebron. Accompagnato da Alberto Capannini, fondatore del corpo civile di pace Operazione Colomba dell'Associazione Papa Giovanni XXIII, ha dialogato con un ospite d'eccezione, il poliedrico attore, drammaturgo, scrittore, compositore e cantante Moni Ovadia. L'incontro, promosso da Operazione Colomba in collaborazione con la Provincia autonoma di Trento e con la partecipazione del Forum Trentino della Pace e dei diritti umani (erano presenti il presidente Massimiliano Pilati e la vice Violetta Plotegher), si è tenuto nell'aula magna di Fbk, gremita da un pubblico attento e partecipe.
Che senso ha, oggi, parlare di nonviolenza, in un tempo in cui ogni lembo di terra è attraversato da conflitti e guerre? Papa Francesco non ha dubbi, tanto che ha rilanciato forte la questione in occasione della Giornata Mondiale della Pace il 1 gennaio di quest’anno: “La violenza non è la cura per il nostro mondo frantumato. Rispondere alla violenza con la violenza conduce, nella migliore delle ipotesi, a migrazioni forzate e a immani sofferenze”, ha scritto, indicando invece nella “nonviolenza attiva” un programma e una sfida “per i leader politici e religiosi” e “per i responsabili delle istituzioni internazionali”.
“Ci è sembrato significativo che la comunità trentina tornasse a confrontarsi con il tema della nonviolenza e della risoluzione pacifica dei conflitti”, ha detto l’assessora provinciale alla solidarietà internazionale Sara Ferrari nel suo saluto. Il consigliere provinciale Mattia Civico, richiamando le parole di Papa Francesco sulla nonviolenza, ha indicato in essa “un'urgenza per l'oggi”, rafforzato in questa convinzione proprio dall'esperienza di At Tuwani, da lui visitata nel gennaio scorso: un territorio, quello a sud di Hebron, in Cisgiordania, sottoposto al controllo di Israele. La nonviolenza, ha spiegato Alberto Capannini, è anche nel Dna di Operazione Colomba, attiva da più di 25 anni in territori di conflitto e oggi presente in Palestina, in Albania, in Colombia, in Libano, anche attraverso l'impegno in prima persona di giovani trentini. Proprio dal Libano è partito, alla fine di febbraio 2016, il primo corridoio umanitario che ha portato in Italia profughi siriani e a cui ha aderito convintamente, nell'accoglienza, anche la Provincia autonoma di Trento. L’idea, maturata negli anni della guerra nell'ex-Jugoslavia e affinata in altri teatri internazionali, è quella di “abitare il conflitto”, senza però schierarsi e senza mai cedere alla violenza, ma condividendo disagi e rischi delle persone comuni. “Come abbiamo fatto in Libano – ha raccontato Capannnini – piantando le nostre tende nei campi profughi dei siriani e vivendo con loro e come loro”. La condivisione è un aspetto fondamentale dell’azione nonviolenta, perché “ogni vita vale: la mia come la tua”. Ha preso poi la parola Moni Ovadia, il cui intervento ha assunto a tratti i toni dell'invettiva a motivo dello sdegno per la difficoltà che si incontra a parlare del complesso conflitto israelo-palestinese (“Nei talk show non si parla della gravissima situazione del popolo palestinese, che da 50 anni vive o in diaspora o in una situazione di oppressione e umiliazione, sotto lo sguardo indifferente della comunità internazionale”), in una terra che viene chiamata “santa”. “Ma dov'è la santità di questa terra, oggi?”.
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