Un orizzonte ancora incerto

Siamo nella classica situazione del gatto che si morde la coda senza capire che la coda è la sua

Nulla sembra in grado, almeno sino ad oggi, di sbloccare l’impasse politico in cui il nostro paese si dibatte. Suonano quasi incredibili da questo punto di vista gli entusiasmi per la vittoria di Macron alle presidenziali francesi, perché fondati su due illusioni: la prima è che quanto avvenuto in Francia possa modificare gli equilibri fra le forze politiche italiane; la seconda è che Macron voglia mettere in discussione gli equilibri europei per far spazio all’Italia.

Purtroppo per noi siamo nella classica situazione del gatto che si morde la coda senza capire che la coda è la sua. Un paese privo di un orizzonte di stabilità politica non ha grandi possibilità di poter giocare un ruolo adeguato nel contesto di una Unione Europea che di necessità dovrà ridefinirsi e superare il problema della Brexit. Si deve tenere conto del fatto che con le elezioni autunnali in Germania si completerà il percorso che delinea i nuovi vertici negli stati chiave. A quel punto molto probabilmente l’Italia entrerà invece nella fase caldissima della campagna elettorale che nella primavera 2018 la porterà ad un difficile confronto. Si può ben capire che con l’incertezza sull’esito del voto e a fronte di un governo in scadenza non sarà facile che i governi chiave della UE vogliano impegnarsi con un paese dal futuro politico problematico.

Questo per l’Italia sarà probabilmente un danno e non da poco. La soluzione di anticipare la scadenza elettorale è piuttosto rischiosa. Innanzitutto perché al momento non si vede alcuna certezza che da quelle urne anticipate possa uscire un governo stabile e un parlamento ragionevolmente equilibrato. In secondo luogo perché comunque uno scioglimento anticipato della legislatura sarebbe abbastanza traumatico da indurre a manovre speculative sul terreno economico e finanziario: qualcosa di cui non abbiamo certo bisogno.

In ogni caso per qualsiasi ipotesi di ricorso al voto popolare manca una condizione necessaria: una ragionevole legge elettorale. Il presidente Mattarella lo ricorda in continuazione, ma senza disporre degli strumenti per spingere una classe politica confusa e timorosa circa il proprio futuro a portare a termine l’impresa. Naturalmente c’è un gran gioco di specchi su questo tema, perché ogni forza politica si dichiara disponibilissima a trovare una soluzione: purché sia la sua e non quella degli altri.

Il fatto è che il gioco degli opposti interessi non consente una soluzione attorno alla quale costruire una maggioranza. Lo ha rivelato chiaramente l’ultimo giro di valzer, quello in cui PD eM5S si sono dichiarati disponibili a trovare un comune terreno d’intesa. Sulla carta in effetti i loro interessi possono coincidere su punti chiave: premio di maggioranza alla lista e non alla coalizione, no ai capilista bloccati, soglia di sbarramento al 5% o più. Però i voti sommati dei due partiti sono maggioranza alla Camera, ma non al Senato e a tutti gli altri partiti quei punti non vanno bene: non ai vari cespugli che verrebbero condannati all’irrilevanza, ma neppure a FI che non ha alcuna possibilità di essere tra quelli che concorrono al premio di maggioranza.

Di conseguenza siamo impantanati in una situazione in cui non si sa chi potrebbe avere la forza per tirarsene fuori e per tirare fuori gli altri. Renzi si è rifiutato di fare il bersaglio mobile presentando progetti di soluzione solo per farsi impallinare, per di più con l’accusa di essere un perfido manipolatore ed ha rimandato la palla nel campo avversario. Nessuno però da quella parte può veramente raccoglierla perché di fatto è nelle stesse condizioni del segretario del PD.

Eppure finché non si sblocca la questione della legge elettorale la politica italiana rimarrà vittima della impossibilità di ragionare realisticamente su come sia possibile uscire da una contingenza che resta poco favorevole. Intendiamoci: nell’incertezza sul futuro hanno fatto il nido in molti. Ma è un pessimo modo per prepararsi ad affrontare la probabile svolta che si determinerà sul fronte europeo (e non solo) a partire dal prossimo inverno.

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