Cara casa

Il punto nel convegno promosso dalla Libera Universitàdi Bolzano

Riflettori puntati sul futuro dell'edilizia sociale e sulle politiche per la casa lo scorso fine settimana alla Libera Università di Bolzano. Tre giorni di dibattito a conclusione del progetto di ricerca Reshape promosso dalla Facoltà di Economia. I contributi di una quarantina di esperti da 14 diversi paesi europei hanno offerto una panoramica delle politiche pubbliche nel settore, condizionate dalla crisi economica e dalla ridotta capacità di spesa degli Stati, legata ai vincoli di bilancio.

Per rispondere alle esigenze di alloggio delle famiglie a basso reddito sono stati impiegati diversi nuovi strumenti politici e sono stati investiti miliardi di euro. Tuttavia è ancora difficile osservare una strategia coerente orientata all'incremento del livello di protezione sociale nel settore della casa, al di là della gestione convenzionale delle "emergenze". Ciò è vero in particolare per l'Italia – dove l'edilizia sociale, a differenza di quanto avviene in molti altri paesi, rappresenta solo il 4% dello stock abitativo primario -, come è emerso dalla rassegna delle politiche per la casa attive nel nostro paese offerta dai docenti dell'Università di Bolzano Dmitri Boreiko e Teresio Poggio. Incoraggianti sono apparse le prospettive dei modelli di intervento delle organizzazioni no-profit: almeno un centinaio quelle attive in Italia, spiega Teresio Poggio, che è docente esterno a contratto di UniBZ.

Quali gli effetti della crisi sulle famiglie e sul sistema delle politiche di settore?

La situazione delle famiglie è peggiorata, è diminuita la loro capacità economica. In Italia fino al 2000 meno del 50% delle famiglie a basso reddito spendeva più del 20% del proprio reddito per l'affitto: oggi sono il 74%. E sono diminuite, non solo in Italia, le risorse che gli Stati avevano a disposizione per investire in politiche per la casa, che, tra le politiche sociali, sono le più costose.

Tra le esperienze presentate a Bolzano, quali le più interessanti?

L'edilizia sociale in Europa si è evoluta nell'arco di più di un secolo e ci sono percorsi molto diversi. L'esperienza italiana è molto legata alla proprietà pubblica (gli Istituti autonomi case popolari, in Trentino è l'Itea). In Olanda la proprietà degli alloggi sociali è in mano a organismi no-profit. Gli alloggi sociali sono il 30% dello stock abitativo, in Italia sono il 4%.

Diventa quindi difficile il confronto tra le diverse esperienze.

Cambia il contesto economico, cambia la storia. Interessante è il modello norvegese di casa in proprietà: qui a differenza che negli altri paesi scandinavi è stato sostenuto lo sviluppo di un sistema di cooperative che ha facilitato le famiglie a diventare proprietarie di casa. In Italia l'approccio è: lasciamo che le famiglie si arrangino. Con qualche eccezione (è il caso della Regione Trentino-Alto Adige, dove ci sono politiche attive in tal senso).

Quali barriere ci sono per entrare nel mercato della casa?

In Italia chi è in un alloggio sociale in affitto paga intorno ai 100 euro mensili, mentre gli affitti di mercato viaggiano intorno ai 700-800 euro al mese. Manca una soluzione intermedia, ragionevole, sostenibile, che permetterebbe ai giovani e agli immigrati di sostenere l'affitto con serenità.

L'alternativa all'affitto è comprare casa.

Ciò vuol dire non solo disporre di un reddito ragionevole, ma anche avere accumulato dei risparmi e avere capacità di accedere al credito bancario.

Per un giovane con contratto a tempo determinato, precario, è praticamente impossibile…

Il sistema italiano funziona con chi ha una famiglia alle spalle. Il 20% degli italiani è diventato proprietario o perché ha ereditato una casa o perché l'ha ricevuta in dono dai famigliari. Ci possono però essere giovani che non hanno alle spalle una generazione precedente in grado di trasferire una risorsa.

E ci sono le famiglie immigrate.

Non è detto che dobbiamo garantire un alloggio gratuito o semi-gratuito nel settore sociale: c'è uno spazio per l'affitto.

La casa di proprietà è una soluzione sostenibile al problema dell'alloggio? O, comunque, perseguibile e auspicabile per tutti?

Una delle grandi questioni che abbiamo dibattuto è che l'aspirazione alla proprietà è naturalmente legittima e ogni famiglia può muoversi come crede, ma politiche pubbliche che spingano al sovra-indebitamento delle famiglie, a diventare proprietari a qualunque costo probabilmente non sono né utili né giuste.

Veniamo al futuro dell'edilizia sociale in Italia. Cosa dire delle esperienze del no-profit in questo settore?

Il settore no-profit è molto attivo in Italia. Negli ultimi vent'anni abbiamo visto lo sviluppo di azioni che vanno dall'apertura di dormitori per i senza dimora, come è avvenuto a Trento, così come – nelle grandi città – interventi mirati a soddisfare esigenze temporanee a sostegno di pendolari che lavorano con contratto a tempo determinato e hanno bisogno di un alloggio per qualche mese.

Altre esperienze interessanti?

Quelle di “gestione sociale” nei quartieri di alloggi popolari, dove l'esigenza non è solo quella di offrire un tetto sopra la testa delle persone, ma di far vivere relazioni positive. E, ancora, esempi di intermediazione mobiliare da parte sia di enti no-profit sia di alcuni Comuni, per facilitare i rapporti tra chi è disponibile ad affittare e persone che hanno difficoltà a stare sul mercato dell'affitto. Ricordo che qualche anno fa erano state le stesse associazioni dei proprietari di casa avevano sollecitato interventi pubblici, a fronte di un problema di morosità allarmante.

Una difficoltà a far fronte alle spese dell'affitto legata magari alla perdita del lavoro…

Si chiama “morosità incolpevole” questa incapacità di onorare l'affitto. Con la crisi economica, negli ultimi anni gli sfratti per morosità sono intorno ai 70 mila all'anno. Prima del 2008 erano la metà.

Per spingere i giovani all'autonomia, nonostante la scarsa capacità economica, la Provincia di Trento ha lanciato, con fondi regionali, la proposta del co-housing.

Non la conosco in dettaglio. Credo che siano esperienze importanti, perché consentono ai giovani di provare a uscire di casa, a gestire un proprio budget, a relazionarsi con gli altri. Forse non sarà una vera e propria emergenza, ma è un forte problema sociale il ritardo con cui gli italiani escono dalla casa dei genitori per mettere su una nuova famiglia. Creare spazi dove i giovani possono sperimentare l'autonomia abitativa in una condivisione con i pari è positivo. A maggior ragione se, come mi pare sia il caso trentino, prevedono una dimensione di servizio – nel quartiere, nel condominio -, che va a vantaggio della comunità più ampia.

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