Un santo non si improvvisa. Padre Mario non è frutto solo delle sue “virtù eroiche” ma è anche della fecondità di una Chiesa diocesana così come si è concretamente manifestata in un’epoca storica – lo confermano i documenti – attraverso incontri, esperienze. Le possiamo riassumere in tre parole corrispondenti a istituzioni diocesane e persone che per queste parole hanno speso una vita intera: vocazione, santità, missione.
La vocazione da mons. Scalvini
A 11 anni Mario chiede alla mamma di entrare in Seminario e lei lo porta per l'iscrizione dal rettore mons. Salvatore Scalvini: nel 1942, a soli trent'anni, egli aveva ricevuto redini di quello che per per oltre quarant’anni fu il polmone vocazionale della diocesi. Con la sua pedagogia, Scalvini trasforma il Seminario da collegio a “famiglia ben ordinata” e col sostegno dei parroci e dell’Opera San Vigilio si fa promotore di molte iniziative vocazionali (il bollettino “Eco del Seminario” conterà 9 mila abbonati) , come i convegni e le feste anche per i genitori dei seminaristi.
Anche padre Mario, da quella festa di San Luigi del 1942 con adorazione e catechesi in chiesa e accademia in teatro, resta ammirato e conferma l’idea di entrare. Ma ad ottobre 1943 il seminario non è più a Trento, è sfollato in sedi periferiche che accolgono divisi per vallate tutti gli studenti. Mario attraversa l’Adige su una zattera, prende una corriera fino a Sarche e poi a piedi con la valigia raggiunge Drena (da solo a 11 anni!). L’anno 1944/1945 lo passa nella sede di Roncone, fa freddo ma non si lamenta. Apprezza le gite sui laghi di Valbona tra ghiacciai e dirupi, non pensa alle ultime “Salomon” da comprare ma dentro di sé sogna di calcare le distese del Polo Nord. Nel 1945/1946 finalmente può ritornare a Trento ed è un ragazzo soddisfatto, pone al centro l’Eucaristia, lo studio e la devozione alla Madonna, conosce mons. Eccher che gli insegna a suonare il pianoforte, viene bocciato all’esame di greco perché su via Giusti va a vedere il giro d’Italia.
La santità del padre spirituale
Ed ecco la parola santità, Mario conosce meglio il padre spirituale, don Eugenio Bernardi. Il cosiddetto “prete di ferro fuso” che manterrà la carica fino al 1948 è noto per la sua ascesi ed i suoi profondi scritti, ma non è certo un mistico disincarnato piuttosto quasi un attivista, il fondatore di una serie di iniziative per le vocazioni. I ritiri estivi di zona, l’Apostolato della preghiera e la san Vincenzo, la giornata sacerdotale di preghiera e raccolta fondi per il seminario, la corrispondenza dei fanciulli di AC con i seminaristi. Non a caso il giorno della prima messa padre Mario annota: mi ha scritto don Eugenio, è un santo e ha scritto da santo. Va a trovarlo e annota: Visita a un santo.
Dal Laos nel 1957 scriverà: è morto don Eugenio, l’unico santo che abbia avuto l’onore di conoscere, gli altri li ho conosciuti dall’agiografia e dal breviario. M’aveva detto che mi invidiava. La parola santità è una parola che padre Mario ha sentito risuonare spesso in seminario dalla bocca di don Bernardi così come il disprezzo profondo quasi l’orrore l’odio per la mediocrità, che si sentiva nella grande chiesa all’imbrunire o nella direzione spirituale. E si sa che quando una parola continua a risuonarci nelle orecchie o nell’anima prima o poi si finisce col dargli credito. Scrive nel diario: non posso fare a meno di sentire la parola mediocrità che immediatamente risento venire dal passato il ricordo di una voce, è don Eugenio che ci dice in pianto “Figli miei un prete mediocre è un cattivo prete”.
Il fervore della missione
Ed ecco la parola missione, come le altre un termine molto frequente nei discorsi in seminario. Nel 1949 Mario comincia il liceo, celebra con fervore la vestizione e passa quindi al seminario maggiore dove è molto più vivo il rapporto con la Chiesa missionaria. Soprattutto su tre fronti: la stampa missionaria con la periodica lettura di riviste, un gruppo missionario interno che organizza e partecipa a mostre e iniziative come la Giornata Missionaria in ottobre ed il periodico e capillare invito a missionari per conferenze ai teologi. Tutto il fervore missionario in diocesi aveva preso il via nel 1927 da quando in un curioso colloquio il vescovo Endrici disse a un giovane prete: “Ho qui la lettera del cardinale Van Rossum in cui mi prega di istituire l’ufficio missionario. Ma a dirti la verità io non saprei. Vai giù per l’Italia credo ci sia questo ufficio, potrei darti anche cento benedizioni ma di più non saprei dirti”. Questo prete don Giacomo Dompieri la mattina dopo prese il treno e andò a Verona, Vicenza, Bergamo, Milano riempiendo la valigia di materiale e la testa di idee, ma non solo, rimase direttore dell’ufficio missionario per ben 41 anni.
Il suo impegno era rivolto verso la Giornata missionaria, la pubblicazioni di libri e opuscoli, la capillare diffusione di più di 2500 zelatrici missionarie in ogni parrocchia, donne dedite alla propaganda e alla preghiera per le missioni. Tutto questo movimento aveva creato in seminario un fenomeno atipico, decine di seminaristi che chiesero di entrare in istituti missionari, c’è persino un documento in cui i vari istituti cercano di spartirsi le valli per non litigare. Un articolo dell’ “Eco” intitolato “Contributo del seminario alle missioni” ne da un elenco parziale: 14 con i comboniani, 4 con i gesuiti, 5 con i salesiani, 2 con i padri bianchi, 6 con la consolata, 2 con i giuseppini, 5 con i saveriani ma solo uno con gli Oblati di Maria Immacolata: padre Mario. Infatti in terza liceo ecco il kairos, l’incontro decisivo: arriva per tenere una conferenza padre Gaetano Liuzzo OMI, è noto in Italia per il suo entusiasmo soprattutto per i racconti sugli eschimesi ma temuto dai rettori perché girando per le diocesi ha “rubato” circa una cinquantina di seminaristi ai preti diocesani per portarli in noviziato. Padre Mario confida alla mamma che a Trento ci sono troppi preti e nel mondo troppi non cristiani e decide, ha scelto che l’istituto nel quale vuole entrare saranno gli Oblati di Maria Immacolata. Seguirà il consiglio di aspettare la prima teologia ed entrerà in noviziato nel 1952. Ecco il sogno del beato Mario Borzaga: bruciare le tappe, vivere la fedeltà alle piccole cose per allenarsi al martirio, attuare con radicalità il proprio sacerdozio. Forse un desiderio poco consapevole seppure di un giovane sicuro di dover andare in missione, forse il frutto dell’ambiente trovato a Trento, forse solamente il suo abbandono, quel “vantaggio di essere piccoli”.
Luca Tomasi*
*Quest'articolo è una sintesi del contributo storico proposto al pomeriggio dedicato dallo STAT a padre Mario.
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