Tisi: “Il vero volto di Chiesa”

“Una comunità che va all'essenziale, con al centro i malati, icona di Dio fra noi”: esorta l'Arcivescovo, critico verso “troppi apparati organizzativi” e “la fascetta dell'appartenenza”

Per tutta la mattinata ha preso appunti sul suo notes a quadretti, nel primo pomeriggio ha ascoltato le conclusioni dei dieci gruppi di lavoro. L'Arcivescovo Lauro ha scelto il seminario della Pastorale della salute – allargato per la prima volta ai contributi degli altri ambiti pastorali – per sintetizzare sabato ad un anno esatto dal suo ingresso in diocesi il volto di Chiesa disegnato dal Vangelo. “Una Chiesa che va all'essenziale e non si perde negli apparati organizzativi – ha detto fra l'altro – fondata sul valore della relazione fraterna. Una Chiesa che sa veramente mettere al centro il malato – e, in genere, chi è più povero – ritrovandovi l'umanità di Gesù, il volto di Dio fra noi”.

Una Chiesa che non dipende dai singoli operatori e dalla loro specializzazione, dove non conta tanto “la fascetta dell'appartenenza” a un gruppo o ad un'associazione ma la collaborazione fra tutti. “Chi è il vero soggetto della pastorale? – si è chiesto poi, recuperando la risposta nei Padri della Chiesa – è sempre e solo tutta la comunità cristiana riunita nella Messa domenicale, dove ci si accoglie, ci si perdona, si ascolta, si fa memoria e poi si esce per un servizio alle persone in difficoltà”. Insomma, la Messa non è finita, come dice Bettazzi, ma deve lasciarci dentro la “santa inquietudine” a non lavorare per il nostro orticello, ma per conto di tutta la comunità, che trova la sua sintesi nel Consiglio pastorale o nei vivaci Comitati parrocchiali” (come quelli che il giorno dopo il vescovo ha visitato in val di Peio).

E' Gesù di Nazareth, che guarisce il cieco e piange per l'amico morto, l'esempio per il cristiano che porta così nel mondo sfiduciato segni di resurrezione e di beatitudine. Guai quindi alle lamentele (“vengono dal maligno”, ha detto don Lauro), anche a proposito della partecipazione dei giovani che proprio nell'ambito della sofferenza e dell'attenzione caritatevole stanno trovando in diocesi esperienze inedite e per molti decisive: ne hanno parlato don Mauro Angeli, don Rolando Covi e l'universitaria Alessia, raccontando l'itinerario con i malati all'ospedale San Camillo e fra i detenuti. “Non possiamo più dire che i giovani non ci sono, anzi. – ha commentato l'Arcivescovo – ci danno l'esempio di saper comunicare la fede attraverso la concretezza dei gesti”.

Dagli interventi degli altri relatori del mattino (Roberto Calzà per la Caritas, mons. Cesare Sebastiani per la liturgia, Lorena Girardi per la famiglia) l'Arcivescovo ha ripreso l'importanza di favorire al massimo “la rete” delle collaborazioni, mentre le proposte dei gruppi di lavoro (nel box ne riportiamo alcune) saranno riprese anche da Vita Trentina, dalla radio e dai siti diocesani, strumenti a servizio della comunione ecclesiale.

“Vorrei insistere – ha aggiunto tra l'altro l'Arcivescovo , attingendo anche ai ricordi d'infanzia quando la domenica pomeriggio molti si recavano a trovare i malati – sul valore di questi gesti, così come le visite ai cimiteri. Questi momenti ci richiamano all'essenziale del vivere, ci riportano al valore della fragilità, ci fanno sentire come dal volto dell'altro, tanto più se si trova nel bisogno, la nostra vita viene interrogata in una provocazione che ci è sempre salutare.

Don Piero Rattin, che ha coordinato la giornata a Villa Moretta insieme a Carlo Tenni, ha indicato i tempi lunghi della semina, ma anche la capacità di riconoscere i frutti che il Signore fa crescere nella nostra Chiesa.

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Cinque proposte

Cinque fra le numerose proposte dei 10 gruppi di studio.

1. Valorizzare durante la Messa la benedizione e il mandato ai ministri dell’Eucaristia che visiteranno i malati.

2. Proporre ai gruppi della catechesi e ai giovani momenti d’incontro, ben preparati, con malati e anziani, anche a casa.

3. Orientare i gruppi anziani e pensionati anche a momenti di servizio verso i coetanei in difficoltà.

4. Prevedere momenti di coordinamento sul territorio per tutte le realtà (anche di volontariato laico) che possono “servire” ammalati e anziani.

5. Predisporre sussidi e momenti di riflessione per gruppi sposi e fidanzati sul tema della sofferenza in famiglia.

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