Valeria Lencioni, idrobiologa del Muse, fornisce particolari sull’indagine. A fare testo sono due articoli pubblicati su riviste internazionali
““Rassegna bibliografica su alcuni pesticidi impiegati in Provincia di Trento” è il titolo di una serie di volumi a schede pubblicati a metà degli anni ’80. Forniscono una conoscenza completa (all’epoca) dei singoli principi attivi e relativi formulati desunta dalla consultazione di una vasta documentazione scientifica proveniente da tutto il mondo. La ricerca pubblicata dalla Provincia autonoma di Trento è stata condotta da esperti del Dipartimento ambiente naturale difesa del suolo, della Stazione sperimentale e agraria e forestale di S. Michele, del Servizio vigilanza e promozione dell’attività agricola.
Nel terzo volume si trova la scheda riguardante i sali inorganici del rame. Un capitolo è dedicato alla presenza e agli effetti del rame in ambiente acquatico. A metà pagina 120 si legge:”Nei Chironomidi si ha uno sviluppo normale delle uova per esposizione da 0-5 mg/lt di rame (solfato); le larve, messe a contatto con sedimenti contaminati con rame (900-4500 mg/Kg.) per 15 giorni hanno presentato deformazioni dell’apparato boccale e un prolungamento dello stato larvale.
L’ EC50 (concentrazione ambientale) è pari a 1602 mg/Kg.
Il riferimento ai Chironomidi non è casuale. Alla stessa famiglia di ditteri appartiene il Chironomus riparius scelto dai ricercatori del Muse (Museo delle Scienze) di Trento e del CNR-Istituto di biofisica di Povo (Trento) quale indicatore dei possibili effetti nocivi di rame e azadiractina usati anche nelle coltivazioni biologiche. I Chironomidi sono per lo più detritivori. Comprendono specie molto resistenti agli inquinanti. Sono tra gli ultimi macroinvertebrati a scomparire dagli ambienti fortemente inquinati. L’Azadiractina è il componente principale dell’olio di Neem estratto dalla pianta arborea Azadirachta indica. Agisce come insetticida, ma svolge anche una parziale azione fungicida.
La prima parte del lavoro ha valutato gli effetti della presenza di questi pesticidi a concentrazioni crescenti sulla sopravvivenza delle larve. Partendo dalla concentrazione ambientale rilevata nel momento della raccolta del campione, si è stabilita in più step la concentrazione massima tollerabile dall’insetto ovvero quella a cui si registra il 10-50-100% delle morti. Sulla base dei test di tossicità acuta, il rame sembra essere più tossico dell’Azadiractina per la specie scelta come rappresentante dell’ intera comunità vivente del torrente. In un secondo tempo il lavoro ha preso in considerazione gli effetti molecolari dei due pesticidi, ovvero gli effetti sull’espressione di 5 geni che controllano la sintesi e la traslocazione di due famiglie di proteine di protezione e detossificazione dalle sostanze inquinanti. Le due classi di proteine vengono sintetizzate in risposta all’aumento di concentrazione dei tossici. La presenza di una alta quantità di proteine indica che la popolazione dell’insetto è stressata e quindi risulta più vulnerabile. I due pesticidi diventano letali a concentrazioni da 30 a 500 volte più elevate rispetto a quelle misurate in primavera, prima dell’inizio dei trattamenti intensivi.
Per capire meglio il contenuto dei due articoli-resoconto della ricerca, sarebbe utile consultare il testo definitivo che è stato validato da sei esperti di fama internazionale. Noi ci siamo rivolti a Valeria Lencioni, idrobiologa del Muse, che ha coordinato la ricerca. A farlo ci ha spinto l’interpretazione del lavoro fatta da un quotidiano locale che ha usato un titolo ad effetto, ma non rispondente alle intenzioni dei ricercatori: “Agricoltura bio, il rame è nocivo, non va usato”.
La ricerca, dice Valeria Lencioni, espone dati e fatti riscontrati con rigore scientifico. Non può andare oltre e sostituirsi a chi per ruolo istituzionale deve utilizzarla per prendere decisioni. Valeria Lencioni ha frequentato la Stazione sperimentale di S. Michele a metà degli anni ’90 per preparare la tesi di laurea con l’idrobiologa Giovanna Flaim. Conosce quindi bene le questioni legate alla difesa fitosanitaria e la necessità di ricorrere all’uso di fitofarmaci pur limitandone la scelta e l’impiego per rispettare la salute umana e l’equilibrio ambientale.
Sa, da letteratura certificata, che al momento non ci sono prodotti che possono sostituire il rame almeno nel comparto biologico, come richiede la Comunità europea. Il rio Gola è stato scelto perché ospitante una popolazione numerosa di C. Riparius e vicino ai laboratori (per i test servono molti esemplari che in poco tempo devono essere trasferiti in sede). Servivano ripetuti prelevamenti di campioni da testare o allevare in laboratorio. Il gruppo si è occupato anche in precedenza di inquinamento da pesticidi nell’Adigetto e nella Fossa di Caldaro. La scelta del rame e della Azadiractina come molecole spia è stata concordata con FEM e APOT. Il protocollo applicato alla ricerca nel rio Gola potrebbe infatti essere adattato per altre indagini sui corsi d’acqua inquinati da residui di fitofarmaci.
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