Il paleontologo Massimo Bernardi

Massimo Bernardi, paleontologo

Dal passato più antico al mondo in cui viviamo. Una storia che il paleontologo “legge” studiando ciò è conservato, da milioni di anni, nella roccia. “Per noi il Trentino è come un parco giochi. Bellissime montagne nelle quali sono conservate le tracce di un passato antichissimo”. Andiamo a scoprire un nuovo Mestiere della Montagna assieme ai ragazzi della della classe I E della scuola media Arcivescovile di Trento, che hanno intervistato per noi Massimo Bernardi.

Massimo, qual è la sua professione?

Sono un paleontologo e lavoro al Museo delle scienze di Trento, il Muse.

Cosa studia un paleontologo?

Studia i fossili, più in generale la storia della vita più lontana da noi, un passato profondo che va oltre la storia. La nostra unità di misura sono i milioni di anni.

Perché si studiano i fossili?

Per provare a dire qualcosa di un passato che non possiamo leggere suo libri, di cui nessuno può dirci qualcosa. Le storie più remote della vita umana sono raccontate in forma di leggenda o sono scritte su libri antichi. Le storie che raccontano i paleontologi, invece, nascono dai fossili: danno voce a un trilobite, una ammonite o a un dinosauro che non possono dirci qualcosa finché non c’è qualcuno che li studia, che svela i loro segreti e li racconta alle altre persone. Il nostro è quindi un lavoro di mediazione, di traduzione di ciò che è scritto nella roccia. E metterlo a disposizione del pubblico, di tutti, è una parte meravigliosa del nostro lavoro.

Che cosa la ha ispirata?

La classe I E della scuola media Arcivescovile di Trento
La classe I E della scuola media Arcivescovile di Trento

Proprio questo desiderio di capire come siamo arrivati al mondo dove viviamo, di rispondere ai grandi interrogativi della storia della vita sulla terra: come sono distribuiti gli organismi, i diversi tipi di popolazione… Come uno storico si occupa di capire perché ci siano delle differenze culturali tra noi e i nostri cugini cinesi, cosi il paleontologo riesce a spiegare, ad esempio, perché un canguro sia finito in Australia e, invece, non sia passato per Trento.

Cosa ha provato al ritrovamento del primo fossile?

Un’emozione indescrivibile. Aprire una roccia come le pagine del libro e trovarci dentro un reperto che nessuno ha mai visto e che magari era custodito là per milioni di anni è una sensazione incredibile. Non importa se sia una conchiglietta o un grande dinosauro: il primo fossile non scorda mai.

In Trentino se ne trovano tanti?

Abbiamo la fortuna di vivere in un luogo pieno di montagne, dunque pieno di rocce, dunque, molto spesso, pieno di fossili. Il Trentino è un grandissimo “parco giochi”; tutto intorno a noi ci sono montagne dove sono nascoste le testimonianze della vita del passato…

Ma come fate a sapere dove cercarli?

Siamo aiutati dal lavoro del geologo che si occupa di mappare e descrivere tutte le rocce che costituiscono un territorio. Grazie alle carte geologiche abbiamo a disposizione una sorta di “indice” di quando sia probabile trovare un fossile all’interno di quella determinata roccia. Capita però spesso di cercare per ore, per giorni senza trovare nulla. Ma c’è sempre la speranza che l’ultima picconata sia quella che cambia le sorti della spedizione. Ci vuole, insomma, anche tanta fortuna…

Che strumenti usa un paleontologo?

La prima parte delle ricerche viene fatta “sul campo”, in montagna, con degli strumenti che sono uguali a quelli che si utilizzavano secoli fa: punte, martelli, scalpelli, trapani… Il fossile va poi pulito e studiato nel dettaglio, in laboratorio. In questo ci aiutano le nuove tecnologie. Scansioni tridimensionali, TAC e tanti altri sistemi di ricostruzione digitale ci permettono di realizzare una sorta di “carta d’identità” del nostro reperto.

Quale aspetto del suo mestiere le piace di più?

Non c’è dubbio che il lavoro “sul campo”, insieme ai colleghi e in posti meravigliosi come le nostre montagne, sia molto più divertente e appagante. Tornate a casa con lo zaino pieno di fossili è una sensazione impagabile. Fondamentale, come dicevo prima, è però anche il lavoro in laboratorio e, poi, davanti al computer. Ciò che è stato scoperto deve essere descritto attraverso uno studio e una pubblicazione scientifica, altrimenti rimarrebbe conoscenza di pochi e sarebbe inutile o comunque poco utile.

Il suo è un mestiere pericoloso?

Penso proprio di poter dire di no, anche se, quando si lavora in montagna bisogna sempre prestare molta attenzione, soprattutto nelle zone esposte o più impervie. Come spesso succede, però, i rischi maggiori arrivano dai colleghi, che magari si arrabbiano perché hai scritto qualcosa che non avevano piacere che venisse scritto o abbozzi qualche ipotesi o teoria che qualcuno pensava di aver già detto e quindi credono che tu l’abbia “rubata”. Insomma i problemi molto spesso sorgono tra gli umani piuttosto che tra noi e l’ambiente in cui lavoriamo.

I fossili sono fragili?

Una volta aperta la roccia, i fossili entrano in un ambiente che non è più il loro “naturale”, sono soggetti a delle pressioni, a degli sforzi ai quali magari per milioni di anni, non erano stati abituati. Da quel momento in poi bisogna prestare particolare attenzione. Di alcuni fossili, nei musei, vediamo esposte solo le copie; gli originali rischierebbero di alterasi, di essere urtati o, nel caso più triste, rubati. Per questo numerosi reperti si trovano al sicuro nei magazzini e sono sostituiti da copie fedelissime.

Un’ultima curiosità: come sono finiti i fossili marini in montagna?

Una domanda sulla quale si sono interrogati per decenni paleontologi e geologi del passato. I fossili non si sono mossi, sono le montagne ad essersi mosse; nell’arco di milioni di anni le grandi forze che muovono la terra hanno spinto verso l’alto – anche per chilometri – livelli che prima si trovavano sotto il livello del mare: strati di sedimenti, di fanghi, di ghiaia, di sabbia. Ecco come, da quella che un tempo era una spiaggia, una conchiglia può essere arrivata in cima alla Marmolada.

Intervista a cura della classe I E della scuola media Arcivescovile di Trento


Nome: Massimo

Cognome: Bernardi

Segni particolari: Dal 2008 collabora con il Museo delle Scienze di Trento dove, dal 2013, è conservatore per la paleontologia. È curatore della galleria di storia della vita del MUSE e co-autore di mostre itineranti quali Dino & co., DinoMiti, rettili fossili delle Dolomiti, e Fossili Urbani.

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina