Galeorto fu lo zafferano

I ciuffi di zafferano spuntano ambiziosi al centro di uno dei cortili della Casa Circondariale di Spini, in un'ampia aiuola circondata da mura e cemento. Nel cortile adiacente altre due strisce di terreno ospitano le erbe aromatiche, mentre poco distante, in un'altra zona della struttura, vengono coltivati i cavoli, insieme a qualche altro ortaggio.

Sono sei detenuti, assunti con contratto di lavoro o in tirocinio formativo, a lavorare il terreno. In tutto 9.000 mq, coltivati a biologico, che ormai due anni fa la cooperativa La Sfera ha ben pensato di utilizzare per avviare all'interno del carcere un progetto di agricoltura sociale – denominato Galeorto – finalizzato all’inserimento lavorativo di un gruppo di persone detenute. “Oltre alla coltivazione in sé – spiega Bruna Penasa, presidente della cooperativa – è importante il percorso educativo volto a dare alla persona gli strumenti per costruire la propria modalità di stare nella comunità. L’obiettivo è senz’altro quello di ridurre i tassi di recidiva”.

A rilanciare il progetto, e il tema del lavoro in carcere, è la presentazione della prima produzione di birra artigianale – prodotto di nicchia dell'Agribirrificio Argenteum di Cortesano – aromatizzata con lo zafferano biologico di Spini. Si chiama appunto “Zafferana”, non filtrata, colore ambrato e aroma intenso, e nasce dall'idea de La Sfera di immaginare un rapporto con il mercato, che desse più respiro al progetto di agricoltura sociale. Così “Galeorto” è diventato anche un marchio, che contraddistingue i prodotti realizzati con le materie prime coltivate dai detenuti. La cooperativa si sta attivando per intercettare altre aziende trentine interessate a diventare partner-trasformatori: una collaborazione che valorizza il marchio Galeorto ma anche quello dell’azienda come eccellenza del territorio, dando al prodotto un valore unico. Così è per lo zafferano che impreziosisce la birra artigianale di Laura Pontalti e Matteo Faccenda, specializzati in birre aromatizzate con le erbe spontanee dell'altopiano dell'Argentario. Anche i cavoli cappucci escono dal carcere di Spini per finire sugli scaffali come crauti bio Altromercato, mentre gli altri ortaggi vengono destinati perlopiù all'autoconsumo. “Speriamo di poter ampliare presto, attraverso nuove collaborazioni, la gamma di prodotti Galeorto”, è l'auspicio di Bruna Penasa, “per valorizzare al massimo il percorso di cui sono espressione”.

L'assessore provinciale Alessandro Olivi ha definito l'esperienza come “esempio virtuoso di economia circolare”: “Qui si offre l'opportunità alle persone di reinvestire su se stesse, uscendo da queste mura e implementando il rapporto con la comunità”.

È questa la base di qualsiasi ragionamento, anche secondo il direttore del carcere Valerio Pappalardo: “Dare alla popolazione reclusa delle opportunità per acquisire capacità e poter sperare di reinserirsi nel mondo libero è la finalità del sistema stesso di esecuzione penale. Io sono da sempre per un carcere aperto”.

“Il lavoro è libertà – ha proseguito Olivi -, è un investimento sulla dignità delle persone: ognuno ha il diritto di essere promosso nella sua disponibilità ad essere parte di una comunità inclusiva”. Non solo: in situazioni di instabilità, depressione o stress, il lavoro può essere anche una terapia. Non a caso, ha proseguito il direttore Pappalardo, “il lavoro è sempre la prima domanda che mi viene rivolta ogniqualvolta faccio un'udienza con un detenuto”, e che non sempre è facile soddisfare per via delle troppe richieste e della carenza di organico, con le conseguenti difficoltà organizzative. Attualmente, su 350 detenuti, sono circa 100 i posti di lavoro garantiti dall'Amministrazione penitenziaria, a rotazione bimestrale o trimestrale, con mansioni interne; altri 75 posti sono offerti dalle cinque cooperative che collaborano con il carcere. “Ma manca il contatto con l'esterno”, riconosce Pappalardo: “Mi piacerebbe trovare un sistema che porti i detenuti a lavorare fuori. È una carenza della nostra struttura, su cui bisogna lavorare”. Una prospettiva che il Trentino, è la mezza promessa dell'assessore Olivi, è certamente in grado di sostenere: grazie all'impegno, accanto al terzo settore, delle imprese del territorio e anche, perché no, della pubblica amministrazione.

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