Contro venti e maree…

Nel suo nuovo libro, l’ex primo ministro italiano si mostra ottimista: “Il 2017 un anno di svolta”

Strasburgo – “Contre vents et marées”, “contro venti e maree”, è un’espressione francese presa in prestito dal linguaggio nautico che indica il movimento ostinato di chi, nonostante le avversità, prosegue e persevera nel tentativo di raggiungere il suo obiettivo.

S’intitola così, “Contro venti e maree – Idee sull’Europa e sull’Italia” (Il Mulino, 2017), il nuovo libro di Enrico Letta, ex primo ministro italiano, ora direttore della Scuola di Affari Internazionali di Sciences Po Parigi e presidente dell’Istituto Jacques Delors.

Un titolo che non è casuale. Il libro, infatti, è uscito in Italia mercoledì 15 marzo, a dieci giorni di distanza dal sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma del 25 marzo. Una ricorrenza, questa, che coglie un’Europa fragile, dove soffia forte il vento dei populismi e dove chi, invece, nel progetto europeo ancora ci crede si trova ad andare “controcorrente”.

Neanche il luogo dove il libro è stato presentato il giorno prima della sua uscita, è casuale. Enrico Letta ha tenuto una conferenza a Strasburgo – città simbolo della costruzione europea e luogo dove l’ex primo ministro ha trascorso la sua infanzia – nell’auditorium della Biblioteca Nazionale e Universitaria, che ha collaborato, assieme alla Rappresentanza permanente dell’Italia presso il Consiglio d’Europa e all’Istituto Italiano di Cultura di Strasburgo, all’organizzazione dell’evento.

“Contro venti e maree”, ha spiegato Letta, nasce dopo un anno, il 2016, che ha portato – attraverso il referendum in Gran Bretagna e l’elezione di Trump negli Stati Uniti – notevoli sconvolgimenti in Europa. Nonostante i venti che si agitano nell’Unione Europea, la tesi chiave sostenuta da Letta nel corso della conferenza è che il 2017 – anno in cui avranno luogo, tra il resto, le elezioni in Francia e in Germania – possa rappresentare una svolta per l’Europa. Un periodo di frattura, un po’ come lo era stato quel 1989 in cui, a seguito della caduta del muro di Berlino, l’Europa aveva guardato ad Est, accogliendo al suo interno dei Paesi che avevano per tanti anni vissuto una storia diversa dalla sua e fornendo ai suoi cittadini numerose opportunità, e come lo era stato ancor prima il 1957, anno dei trattati di Roma.

Una differenza importante tra il 1957 ed il 2017, però, secondo Letta, è data dal fatto che, mentre nel 1957 l’Europa guardava al suo interno, tesa a garantire la pace tra Paesi che fino a poco tempo prima avevano conosciuto la guerra, oggi è necessario guardare all’esterno, al mondo. Uno scenario cambiato, dove il peso demografico e, conseguentemente, politico degli Stati europei diminuisce sempre di più. Per questo Letta sostiene che “ci sono due categorie di Paesi in Europa: i Paesi piccoli e quelli che non hanno ancora capito di essere piccoli”, e che gli Stati europei, oggi, possono sopravvivere nel contesto globale, mantenendo la loro influenza, solamente se uniti. E fare l’Europa non significa obbedire a un dovere impostoci; non vuol dire mantenere lo “status quo” attuale e distaccarsi dai problemi agitando lo spettro del populismo. Significa guardare a quei valori che hanno fondato e contraddistinto l’Unione Europea. “Gli Europei vogliono essere degli rule takers, persone che accettano passivamente regole che vengono loro imposte dall’esterno, o degli rule setters, ovverosia persone che collaborano alla formazione delle regole?”, è la domanda di Letta, che aggiunge come l’Europa possa portare degli spunti di riflessione su tematiche d’importanza globale come l’ambiente, la parità tra uomo e donna, i diritti dei lavoratori e dei rifugiati e la laicità dello Stato.

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